Centouno, magistrati a garanzia dell’art. 101 della Costituzione

L’art. 101 della Costituzione prevede che: “La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge”. Principi che nel 1948 volevano significare, fra l’altro, la sovranità del popolo italiano e l’indipendenza dei giudici da ogni altro potere. Oggi le cose stanno ancora così, o fatti inquietanti, ampiamente noti, hanno messo in evidenza un’opacizzazione di questi principi? Ne parliamo con Andrea Reale, GIP a Ragusa, membro del Comitato direttivo centrale dell’ANM, nonché esponente dei “Centouno”. Ma andiamo con ordine. Dottor Reale, centouno è un numero simbolico, perché richiama principi costituzionali d’alto valore democratico, o anche l’identificazione di un numeroso e significativo gruppo, come fosse una nuova corrente?
Non siamo e non vogliamo essere una corrente. Non abbiamo alcuna organizzazione e rivendichiamo la nostra appartenenza all’unica associazione di magistrati nel cui statuto ci riconosciamo, ossia l’ANM. Centouno è numero che racchiude forse il più grande e più importante principio che dovrebbe sempre connotare la funzione che siamo chiamati a svolgere: quello di soggezione soltanto alla legge. Nessuna dipendenza da altri poteri dello Stato, nessuna subordinazione ai potentati interni alla magistratura. Esso presuppone, ma anche implica, l’uguaglianza di tutti i magistrati e la loro diversità solo per le funzioni svolte, senza gerarchie e senza dirigenze. 

Se, non siete una corrente, o comunque non vi ponete come tale, siete almeno più di centouno?
Altroché. Abbiamo raccolto 651 voti alle ultime elezioni per il rinnovo del comitato direttivo centrale, pari a quasi il 15% dei votanti. Nel recente referendum associativo l’idea che più ci connota e ci caratterizza come gruppo associativo (una legge elettorale per il CSM basata sul sorteggio come metodo di scelta dei componenti togati) ha ottenuto quasi 1.800 preferenze, pari a circa il 42% dei votanti. Nel giro di un anno e sei mesi dall’elezione del nuovo comitato direttivo centrale mi sembra un risultato più che dignitoso.

Cosa vi unisce, in cosa vi distinguete e quali obiettivi vi prefiggete?
Siamo uniti dal comune desiderio di avviare una vera autoriforma della magistratura associata, oggi prostrata dal male del “correntismo“. Ci piacerebbe innescare il riscatto morale e l’affrancamento dalle stantie logiche corporative e clientelari che l’hanno avviluppata. Oggi l’ANM sembra una succursale della partitocrazia politica e i gruppi associativi assomigliano sempre più a motori di ricerca del consenso per le elezioni negli organi di governo autonomo e in tutte le altre istituzioni nelle quali i magistrati vengono cooptati secondo criteri politici.
Di tutto c’è bisogno, tranne che di un sindacato “giallo”, cioè di un finto sindacato che si identifica col soggetto che dovrebbe, invece, esserne la controparte.

Come fate, senza strutture ed organigrammi, a partecipare alla vita dell’ANM?
È semplice, noi osserviamo le regole statutarie dell’ANM e ne chiediamo il rispetto, specialmente nei confronti di chi, munito di organigrammi fin troppo strutturati, cerca, dall’esterno dell’associazione, di condizionarne i meccanismi di funzionamento e le scelte, arrivando ad orientare persino l’attività del governo autonomo della magistratura.

Non siete rappresentati al CSM. Questo per voi è un limite, o piuttosto un’opportunità?
Questo costituisce una risorsa e una ricchezza impareggiabile. Non abbiamo “poltrone” da difendere o da ambire dentro l’organo di autogoverno. Questo ci consente di esercitare al meglio la funzione “sindacale” nei confronti dell’istituzione-amministrazione dei magistrati e di svolgere meglio quella funzione di dogwatch, di controllore, che avrebbe da sempre dovuto connotare l’attività associativa per stimolare e migliorare quella del governo autonomo.  

Cosa avete fatto e quali risultati avete raggiunto sino ad oggi?
I risultati più tangibili li abbiamo raggiunti sul fronte etico e culturale.
Abbiamo sdoganato temi che fino a poco tempo fa erano veri e propri tabù, se non eresie: sorteggio per i membri del CSM al fine di “spoliticizzarlo”; rotazione degli incarichi direttivi e semidirettivi; abolizione dell’immunità funzionale dei consiglieri; ridimensionamento dei fuori ruolo; richiesta di carichi esigibili di lavoro; stigmatizzazione delle condotte di auto e di eteropromozione presso i consiglieri del Csm.
Come ci piace credere, noi vorremmo testimoniare che esiste un modo diverso di fare associazionismo, che resti lontano dal carrierismo e dal correntismo e che cerchi di stare vicino ai più indifesi tra di noi, a prescindere dalle personali convinzioni ideologiche e indipendentemente da pregresse amicizie o da fedeltà di vincoli. 
Oggi l’indipendenza interna ha un prezzo elevatissimo.
Essere un magistrato non iscritto ad alcun gruppo non è affatto una forza e una sicurezza: se non hai alle spalle un partito-corrente il rischio di subire provvedimenti per te dannosi, se non ingiusti, è sempre in agguato. 

Le vostre proposte richiedono interventi normativi. Che rapporti avete con la politica?
Le nostre proposte sono rivolte alla Politica in generale, a quella, se esiste, che ha davvero a cuore lo Stato di diritto, a quella che vuole affrancarsi dall’asfissiante morsa dell’amicizia clientelare con i gruppi partitici interni alla magistratura e che intende restituire all’Ordine giudiziario la funzione e le prerogative che le vengono assegnate dalla Carta Costituzionale.  

Se venissero accolte ed attuate, avrebbero ancora senso le correnti in magistratura?
Certo che lo avrebbero e sarebbero decuplicate. Perché tornerebbero ad essere quei centri culturali e quella fucina di idee di politica giudiziaria capaci di animare l’ANM e il dibattito interno ed esterno alla magistratura, liberi dalle ignominiose lotte di potere che ne dilaniano l’esistenza e che hanno tradito il senso della loro stessa origine.

Perché i Centouno raccolgono tanto consenso, se poi non lo si spende al CSM?
Serve a svolgere al meglio le funzioni di stimolo e di pluralismo culturale dentro l’associazionismo, e a tenere sempre accesa la fiammella del controllo democratico sul funzionamento legalitario e tecnico dell’organo amministrativo istituzionale di tutti i magistrati e a suggerire ai cittadini, nel cui interesse è amministrata la giustizia, le riforme necessarie per migliorare e rendere utile ed efficiente il servizio che dovremmo prestare alla collettività.

Alla fine di tutto, perché tanto impegno?
Se non mi ritenessi indegno anche di pronunciarne il nome, mi piacerebbe rispondere con una frase di Giovanni Falcone nel corso di una celebre intervista nel 1987: “soltanto lo spirito di servizio”.

Roberto Serrentino

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Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
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