Obbligatorietà dell’azione penale, prescrizione, superamento della legge Severino, revisione della custodia cautelare, nuove regole per l’elezione del Consiglio Superiore della Magistratura, rapporti magistratura-mass media sono solo alcuni dei temi interessati dalle recenti novelle normative, dai provvedimenti della riforma Cartabia in itinere, ovvero dai quesiti referendari proposti dai radical-leghisti.
Posta così, sembra sia in corso una vera e propria rivoluzione volta a stravolgere per legge o consultazione popolare, peraltro in senso presumibilmente garantista, l’ordinamento giudiziario e i cardini della giustizia italiana, incancreniti da criticità irrisolte.
Di fatto, ciò che sta emergendo quale summa dei provvedimenti attuati e da attuare, in parte proposti dalla Commissione istituita ad hoc dalla ministra Cartabia, come successivamente modificati in sede di esame da parte delle singole forze politiche, è tutt’altro che una rivoluzione.
Tanto rumore per nulla si potrebbe dire.
Già la Corte Costituzionale e per essa il Presidente Giuliano Amato non ha ammesso il quesito referendario sulla responsabilità civile dei magistrati, considerata dai più, giuristi e non, un valido principio per una giustizia autenticamente democratica al servizio e a tutela del cittadino. Quindi, un’occasione persa!
Non sembra esistere nemmeno un accordo politico sugli altri temi innovativi, atteso che, ad esempio, la recente votazione sulla riforma del catasto, che ha visto il governo salvarsi per un solo voto, ha chiaramente palesato come l’iniziale coesione dei partiti a sostegno dell’unico governo possibile, guidato da Mario Draghi, si stia sgretolando all’approssimarsi dell’appuntamento elettorale del 2023 e della relativa campagna elettorale, in cui si tende a distinguersi e differenziarsi alla ricerca del consenso.
L’Europa ci guarda e nel PNRR la riforma della giustizia è fra le richieste per il rilascio degli aiuti finanziari. Ma oggi in ballo c’è molto di più. È in discussione l’autorevolezza e la credibilità della magistratura in un momento storico in cui due cittadini su tre non hanno fiducia nei giudici.
Sono tanti, troppi i magistrati condannati o indagati, spesso chiacchierati per le loro commistioni con la politica, da far vacillare quei principi di “autonomia” e “indipendenza”, tanto sbandierati, spesso abusati, su cui si fonda l’intero ordine giudiziario.
Su tutto questo e sorvolando da giudizi di merito, che richiederebbero per ogni singolo provvedimento una trattazione fiume, si è inteso, quindi, fare un punto, interpellando i magistrati Salvatore Vecchione, Mario Palazzi, Luca Palamara e Nicola Saracino, nonché gli avvocati Maria Masi e Vincenzo Comi, che liberamente hanno deciso di dare un proprio contributo su alcuni specifici aspetti delle riforme.
Dal confronto delle opinioni emerge un quadro valutativo fortemente differenziato, tutt’altro che corporativo, che, a mio avviso, potrebbe essere fonte di ispirazione per migliorare il dialogo fra istituzioni spesso sulle barricate in una contrapposizione dialettica, funzionale solo a tutele di casta e non proprio all’interesse del Paese.
Lascio ai lettori condividere o meno, considerato che, comunque, sono le posizioni di chi opera autorevolmente sul campo e si confronta quotidianamente sui temi concreti della giustizia, muovendo dalle importanti esperienze maturate negli anni per potersi pronunciare fondatamente in merito.