Roberto Serrentino
Sembra sia in corso una vera e propria rivoluzione volta a stravolgere per legge o consultazione popolare, peraltro in senso presumibilmente garantista, l’ordinamento giudiziario e i cardini della giustizia italiana, incancreniti da criticità irrisolte.
Di fatto, ciò che sta emergendo quale summa dei provvedimenti attuati e da attuare, in parte proposti dalla Commissione istituita ad hoc dalla ministra Cartabia, come successivamente modificati in sede di esame da parte delle singole forze politiche, è tutt’altro che una rivoluzione.
Tanto rumore per nulla si potrebbe dire.
Non sembra esistere un accordo politico, atteso che, ad esempio, la recente votazione sulla riforma del catasto, che ha visto il governo salvarsi per un solo voto, ha chiaramente palesato come l’iniziale coesione dei partiti a sostegno dell’unico governo possibile, guidato da Mario Draghi, si stia sgretolando all’approssimarsi dell’appuntamento elettorale del 2023 e della relativa campagna elettorale, in cui si tende a distinguersi e differenziarsi alla ricerca del consenso.
Salvatore Vecchione
Siano consentite solo poche osservazioni:
1. la produzione delle ultime riforme ha toccato punti di notevole interesse e sarà utile. Ha mantenuto la impostazione dell’attuale processo penale, ma certo non poteva fare un “nuovo” processo, anche a causa delle esigenze di celerità di cui si diceva all’inizio;
2. il processo penale è un processo di grande complessità. E rimane tale anche dopo le riforme. Proprio a causa della sua complessità, l’efficienza di esso poggia su “due presupposti” inderogabili e da realizzare con immediatezza: a) la completa informatizzazione di ogni settore: tra le altre cose, il tempo del passaggio di carte, di migliaia di atti o fascicoli da ufficio a uffici diversi e il conseguente ritorno indietro deve essere soltanto un ricordo – non un retaggio! – del passato. È difficile immaginare come sia vicino all’impossibile il trasmettere fascicoli interi più volte, dal PM al GIP e poi da questo al PM; dal PM al Tribunale della Libertà e poi alle Corti di Appello, e poi alla Corte di Cassazione, ecc. E non si sta parlando soltanto di fascicoli di poche pagine, ma a volte di carte e faldoni che riempiono intere stanze! L’informatizzazione, insomma, è una “condizione sine qua non” ai fini della efficienza di ogni riforma; b) la completezza di tutti i settori di un personale amministrativo addestrato, nonché dei magistrati.
Sembra inutile dilungarsi su ciò che appare essere evidente.
Mario Palazzi
La fiducia che la magistratura deve riconquistare, in modo particolare in questi tempi così difficili, è un ingrediente indispensabile per la tenuta sociale del Paese.
Io mi auguro, e voglio pensare che sia così, come la magistratura voglia e riesca a rafforzare una cultura della giurisdizione anche nel suo più alto consesso quale il CSM, la politica voglia e riesca a riaffermare una cultura della corretta separazione dei poteri.
Quando, in un paese democratico, una istituzione è in difficoltà, le altre – quelle che fanno capo alla politica – sono chiamate a contribuire all’eliminazione delle cause di questa crisi, non a cogliere l’occasione per far arretrare gli spazi di legalità.
Se questo è lo spirito riformatore, e non può essere che questo, richiamando ancora le parole del Presidente Mattarella, la magistratura è pronta a fare la sua parte.
Eleggere un nuovo CSM al fine di completare un lavoro faticoso già avviato, di riedificazione etica e di riforme di regole interne che rendano sempre più il Consiglio una “casa di vetro”.
Luca Palamara
Lo stretto collegamento spesso esistente tra gli inquirenti e i giornalisti rende estremamente problematico l’accertamento della responsabilità penale nel caso in cui si verifica una rivelazione di segreto d’ufficio.
Individuare il pubblico ufficiale che materialmente si è reso responsabile del reato di rivelazione di segreto di ufficio, magari utilizzando chat segrete, diventa estremamente problematico anche perché le indagini su questi reati vengono svolte dalla stessa Procura della Repubblica presso cui si è verificata la fuga di notizie, con il paradossale effetto per cui i pubblici ministeri dovrebbero indagare su se stessi o peggio ancora sugli ufficiali di polizia giudiziaria con i quali normalmente lavorano.
La credibilità del sistema giudiziario passa anche attraverso la capacità dei suoi protagonisti di coniugare il diritto all’informazione con la tutela della privacy delle persone coinvolte e soprattutto con la capacità di chi indaga, pubblici ministeri e polizia giudiziaria di riferimento, di evitare corsie e canali preferenziali con questa o quella testata giornalistica, strumentalizzando in questo modo la funzione del processo penale che non diventa più il luogo nel quale verificare i fatti e la rilevanza penale degli stessi, ma uno strumento per realizzare altri fini ed altri obiettivi totalmente estranei a quella funzione.
Maria Masi
Sarebbe auspicabile un rinnovato impegno alla collaborazione tra la magistratura e l’avvocatura per riportare alla razionalità del diritto tutto ciò che nello spazio pubblico assume contorni assai conflittuali, con la specifica finalità di consolidare il rapporto di fiducia tra Stato e cittadino.
All’avvocatura si chiede di assistere le amministrazioni e le imprese nella realizzazione dei progetti e di affiancarle nell’applicazione quotidiana di una normativa sempre più volatile, incerta e imprevedibile, nonostante – o forse proprio anche a seguito – dei continui interventi di “semplificazione”, spesse volte infelici. Nel ribadire l’auspicio di un cambio di passo del nostro ordinamento in termini di qualità normativa, rinnovo convintamente la disponibilità ad operare per raggiungere gli obiettivi di riforma tanto auspicati. Sarebbe molto importante che, specie nel settore del diritto e della giustizia, il legislatore si astenesse da interventi di carattere simbolico, o troppo influenzati da esigenze di mera comunicazione pubblica.
La sfida – per tutti – è che la responsabilità sia ragione di stimolo e non di disincentivo per l’azione giudiziaria e sia, dunque, conforme ai principi costituzionali sempre.
Nicola Saracino
Sia consentito osservare come la presunzione d’innocenza non si alimenti di sola apparenza, ma è messa in pericolo da una lunga serie di disposizioni che ancor oggi penalizzano chi risulti sottoposto a procedimento penale, comprimendone i diritti per un tempo irragionevole, qual è la durata media dei processi penali in Italia.
Si pensi a tutte le limitazioni alla partecipazione a concorsi pubblici o a selezioni di natura privata per chi non possa esibire un certificato dei carichi pendenti lindo; alle penalizzazioni di carriera sofferte, spesso per mero automatismo, da tutti i pubblici funzionari che si trovino nella stessa situazione; alla contrazione del diritto dei cittadini ad ottenere le autorizzazioni per lo svolgimento di attività imprenditoriali.
È vano discutere di presunzione d’innocenza se essa è vinta dal mero incaglio del cittadino nei meccanismi, spesso infernali, dell’accertamento penale i cui concreti esiti statistici restano, ad oggi, la migliore validazione del principio di non colpevolezza e suona come onta che esso venga codificato su impulso dell’Europa senza aver autonomamente sviluppato il significato, tutto italiano, dell’art. 27, comma 2, della Costituzione.
Vincenzo Comi
Abbiamo sul tavolo la proposta di legge costituzionale per la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri depositata grazie alla raccolta di 70 mila firme da parte dei penalisti di tutta Italia, che rappresenta la più importante sfida per una riforma definitiva del nostro sistema. La separazione è la precondizione necessaria per assicurare l’indipendenza e l’imparzialità del giudice penale; senza questa il rischio della sua subalternità all’accusa è concreto e reale come acutamente osservato da tanti accademici che hanno condensato queste riflessioni nel “manifesto del diritto penale liberale” diffuso dai penalisti italiani.
Serve subito un provvedimento emergenziale che restituisca legalità all’esecuzione penale: ogni ora persa su questo terreno è un danno ingiusto che lo Stato infligge a soggetti di cui dovrebbe avere la cura e la custodia. Amnistia e indulto, che vengono evocati da tempo come possibili rimedi, restano la strada maestra. Ma se le maggioranze politiche non consentissero di percorrerla, si batta almeno la via della liberazione anticipata speciale, magari affidando la decisione alle direzioni delle carceri, come propone il Partito Radicale, da sempre in prima linea per le battaglie a difesa dei diritti dei detenuti.