Sliding doors e il Mattarella bis

Poniamo il caso che le sliding doors, le porte girevoli, si fossero mosse in altro modo e Sergio Mattarella avesse mantenuto fermo il paganiniano proposito di non concedere il bis. Che ne sarebbe stato? Non credo costituisca un mero esercizio di stile ipotizzare quanto sopra, alla luce dell’esito noto di chi siederà al Colle per i prossimi sette anni. Dall’analisi delle attualità, ovvero del pregresso, o ancora delle scelte operate, ma anche di quelle non fatte, emerge comunque un quadro della politica nazionale che deve far riflettere.

I partiti non sono stati in grado di fare sintesi su un nome autorevole e riconosciuto idoneo per ricoprire la carica di Presidente della Repubblica. Hanno dimostrato la loro debolezza alla ricerca di un’identità perduta, lontani dagli elettori.

Sono stati buttati allo sbaraglio tanti nomi aventi pari dignità e bruciati tutti quelli proposti dal centrodestra, mentre Enrico Letta, vincitore come Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore, ne guardava i “cadaveri” passare sul fiume.

Si è assistito allo scontro all’interno di ciascuna delle coalizioni, prendendo atto di come gli schieramenti fossero aspramente intrisi di problematiche: l’uno contro l’altro armati, sia le correnti all’interno di ogni singolo partito, sia i partiti fra loro nell’ambito della stessa coalizione.

Alla fine, l’eletto, peraltro il più accreditato all’apertura del conclave e da sempre ben visto da Letta, è risultato Sergio Mattarella, sicuramente per la sua autorevolezza ampiamente dimostrata, ma certamente anche per l’incapacità e l’insipienza dei partiti, o per buona parte di questi.

Ma se le porte fossero girate diversamente con un niet deciso di Mattarella alla propria rielezione, cosa sarebbe accaduto?

La stella polare, che ha guidato la rotta verso la nomina del Presidente della Repubblica, è stata quella di scongiurare nel modo più assoluto le elezioni anticipate e, quindi, di non spostare Mario Draghi da Presidente del Consiglio.

Una scelta autoreferenziata della classe politica. Mantenere Draghi per salvare lo scranno ha fatto sì che si pennellasse il quadro mediocre e disarmante, che abbiamo avuto il triste privilegio di ammirare.

Ma lo stesso obiettivo di continuità fino al termine della legislatura non poteva essere raggiunto aprendo un tavolo di concertazione fra tutte le forze politiche, optando per Draghi Presidente della Repubblica e un tecnico di transizione (eventualmente anche Daniele Franco, attuale Ministro dell’Economia e Finanze) a Palazzo Chigi fino al termine della legislatura, cioè per poco più di un anno, confermando altresì tutti i ministri e i sottosegretari nei propri dicasteri? Un patto di legislatura in questo senso, fisiologico e strumentale per dare il via al settennato di Draghi, senza creare scossoni alla stabilità del governo e al prosieguo della legislatura.

Avremmo avuto il vantaggio di avere il più stimato dei nostri connazionali nel panorama politico ed economico internazionale e garante nei confronti dell’Europa, al Colle per un tempo ragionevolmente lungo e un tecnico che, sotto la supervisione del supertecnico Draghi con una nuova veste, portasse avanti la realizzazione degli interventi complessi e corposi del PNRR.

Ora, che ne sarà di super Mario al termine di questa legislatura? Che ci si privi di lui mi pare proprio un suicidio per l’Italia. Ma quale ruolo potrebbe rivestire? Una risposta c’è e mi sembra naturale: prossimo Presidente del Consiglio! La coalizione che proporrà Draghi, all’alba delle elezioni del 2023 perché escludo che si possano anticipare, sposterà di certo a proprio favore i consensi, intercettando buona parte di quel 50% di elettori indecisi, atteso l’alto indice di gradimento dell’attuale Presidente del Consiglio (un sondaggio condotto da Demos per Repubblica a novembre 2021 evidenziava un grado di fiducia particolarmente elevato e pari al 65%; in pratica 2 italiani su 3 si fidano di Draghi), perché è vero che i voti si pesano, ma si contano pure e candidare Mario Draghi a premier sarebbe decisivo nella conta dei voti per una maggioranza di governo.

Resta, comunque, da chiedersi se i leader dei partiti sarebbero disponibili a fare un passo indietro nel bene e nell’interesse superiore del Paese. Ai posteri l’ardua sentenza.

Roberto Serrentino

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