La riforma della Giustizia tra buona volontà e coraggio

Il dilagare della pandemia, causata dal Covid19, ha reso necessario predisporre, sotto il profilo medico, adeguati mezzi di difesa e di cure.

Contestualmente a ciò, anche in altri settori, sono emerse profonde situazioni di crisi.

In realtà, indipendentemente dalla pandemia, la necessità di appropriati interventi era stata già generalmente ravvisata senza che, però, ai buoni propositi si desse ulteriore seguito.

In conseguenza di tale configurazione l’Italia, più volte sollecitata anche in sede europea, ha predisposto un ambizioso ed inderogabile quadro di riforme, intervenendo su tutte quelle situazioni che, più volte, hanno denunciato problemi di correttezza, coerenza giuridica, violazione di principi istituzionali, scarso rispetto di normative internazionali.

L’intervento di riforma della giustizia si presenta, dunque, di ampia portata, avendo di mira la completa digitalizzazione del settore, la riforma del processo civile e penale, il settore penitenziario, il reclutamento del personale amministrativo e giudiziario, la regolamentazione delle varie professionalità, l’Ordinamento giudiziario, i criteri di nomina e composizione del Consiglio Superiore della Magistratura.

Dinanzi a tale programma, l’intento della Ministra della Giustizia Marta Cartabia non può che meritare piena condivisione ed apprezzamento. Le soluzioni proposte infatti dimostrano di voler tenere conto non solo delle richieste avanzate dai vari soggetti interessati, ma anche delle carenze più volte lamentate e sanzionate in sede europea.

Paradossalmente però, è proprio questo atteggiamento di così ampia disponibilità, espresso nel progetto di riforma, a far nascere la sensazione che alla fine si finisca per disperdersi tra le numerose istanze. Una tale riflessione costituisce un elemento negativo, sollevando non solo dubbi sulla concreta possibilità di realizzazione del programma e sulla reale eliminazione dei problemi lamentati, spesso anche tra loro confliggenti.

I criteri di appartenenza dei singoli magistrati a correnti associative, le conseguenti attività, la partecipazione ed i criteri di scelta dei candidati alle elezioni del Consiglio Superiore, la sua composizione laica e togata, la evoluzione delle carriere, la partecipazione ad appuntamenti elettorali, gli incarichi politici costituiscono complessità e particolarità non di facile soluzione. In tale discorso si inserisce il rientro in ruolo dei magistrati conseguentemente alla cessazione dell’incarico politico. L’accettazione della designazione e lo svolgimento dell’incarico rendono chiara l’appartenenza del soggetto ad un credo politico rendendo, di conseguenza, difficile la configurazione di indipendenza disposta dalla legge per tutti i magistrati.

La partecipazione ad una fattiva collaborazione politica, infatti, più volte è stata considerata, sia pur erroneamente, come elemento di contrasto di soluzioni facilmente anticipatrici di un giudizio, che invece dovrebbe costituire pura e limpida interpretazione giuridica.

Per contro, è stato ritenuto non potersi negare al magistrato di esercitare il proprio diritto, costituzionalmente riconosciuto, di partecipare ad eventi elettorali, sia attivi che passivi. Non tragga però in inganno il richiamo al dettato costituzionale, poiché il suo riconoscimento finisce per dimostrare più del dovuto. Invero, la favorevole adozione della ipotesi positiva mostra di fermarsi al solo dettato letterale, senza considerare due ulteriori argomenti.

Il primo di questi richiama, infatti, anch’esso principi costituzionalmente riconosciuti nell’assoluta indipendenza del giudice vincolato, come ebbe a richiamare tempo addietro l’ex Presidente della Repubblica Sandro Pertini, non soltanto dall’essere, ma anche dall’apparire indipendente. E recentemente tale configurazione è stata ricordata e sollecitata anche dal Presidente in carica Sergio Mattarella, il quale ha voluto ricordare come nell’assumere il prestigioso compito quale Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura egli abbia promesso a sé stesso ed alla Nazione l’impegno di spogliarsi di qualsiasi appartenenza, garantendo l’assenza di qualsiasi condizionamento.

Il secondo argomento, collegandosi con il precedente, pone il contrasto con il rientro nei ruoli, che richiama scelte professionali diverse, sia pur precedentemente esercitate.

Ed infatti l’adesione ad una parte politica comporta scelte rilevanti, che sostanzialmente presuppongono l’espressione di un giudizio anticipato incompatibile con l’indipendenza richiesta al magistrato. Da qui la previsione per i magistrati del divieto di iscrizione a partiti politici, punita con sanzione disciplinare.

La previsione di tale prospettata punizione sembra non rimanere esclusa in considerazione della messa fuori ruolo del magistrato durante l’espletamento dell’incarico. La diversa attività prestata non priva questi dell’appartenenza all’Ordine giudiziario, non esonerandolo dunque dalla osservanza degli obblighi previsti.

Altro argomento complesso è quello relativo alla composizione ed elezione del Consiglio Superiore della Magistratura. La seriazione dei vari criteri di designazione e di individuazione delle diverse componenti, puntualmente richiamata nel progetto di legge del Ministro della Giustizia, in concreto non elimina e, quindi, non risolve le complesse articolazioni anche contraddittorie, oltre che spesso confliggenti, scaturenti dalle loro diverse origini e natura.

Tale rilievo ripropone, con riferimento alla nomina del Vice Presidente del Consiglio Superiore, chiamato a svolgere, in funzioni di supplenza, attribuzioni del Capo dello Stato nella sua specifica configurazione. Queste, improntate pur sempre a criteri di completa ed assoluta indipendenza, sembrano non conformarsi perfettamente ad una supplenza derivante da una diversa origine, da criteri elettivi e principi dinanzi richiamati.

I recenti avvenimenti ed illeciti che hanno coinvolto la magistratura e l’Ordine giudiziario hanno dato risalto a molte delle carenze lamentate, partendo proprio dall’evidente contraddittorietà di molte norme, dalla complessa e spesso colpevolmente abusata articolazione, dalle frequenti e parziali modifiche ancorate solo a temporanee valutazioni, piuttosto che ad una generale ed approfondita disamina.

Ben venga, dunque, la riforma della Giustizia voluta dalla Ministra Cartabia, cui va riconosciuta la disponibilità all’ascolto delle varie istanze di parte, della ricerca di soluzioni condivise e la generale considerazione di tutta la materia.

Un così vasto impegno, però, non veda diluito il suo valore nella parcellizzazione delle proposte, senza prima muovere da una chiara e generale visione della natura, priva di contraddizioni, postulatrici di interessi diversi, di spurie previsioni.

In tale ottica, con coraggio, non si trascuri dunque l’ipotesi di una riforma costituzionale, partendo anche da una diversa conformazione del CSM, da diversi criteri elettivi e da una più diretta presenza del Capo dello Stato, assicurata attraverso un organismo di sua nomina svincolato sia da designazioni politiche che correntizie.

La cura di una pianta malata non sembra infatti poter aver successo con la semplice potatura di alcuni rami secchi o improduttivi, ma piuttosto con un coraggioso intervento sulla pianta a partire dalle sue radici.

Luigi Ciampoli

Magistrato, docente di procedura penale Università di Urbino, già procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Roma

Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
Direttore: Roberto Serrentino

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