È con sincero piacere, che mi accingo a scrivere questo articolo, che non vuole essere né una celebrazione della figura della ministra della giustizia Marta Cartabia, né un endorsement per una sua elezione a Presidente delle Repubblica, anche se, in tutta sincerità, non mi dispiacerebbe affatto. Come si dice nella vulgata popolare: le chiacchiere stanno a zero e i fatti sò fatti! Muovendo da qui, quale Guardasigilli, prima di Marta Cartabia, ha mostrato de facto spiccata sensibilità nei confronti dei detenuti, della loro condizione dietro le sbarre e di quant’altro ad essi riconducibile come il rinserimento nella vita sociale o il sovraffollamento delle carceri?
Il 23 dicembre scorso la ministra Cartabia ha inviato un messaggio di auguri rivolto, tra gli altri, ai direttori degli istituti penitenziari, sottolineando che “si sono conclusi i lavori di una Commissione a cui ho chiesto di lavorare per elaborare proposte per il miglioramento della vita quotidiana in carcere. Proposte concrete, nate dall’esperienza di chi vive il carcere ogni giorno e ispirate ai valori costituzionali”.
La Commissione in questione, definita “Per l’innovazione del sistema penitenziario”, istituita con il D.M. 13 settembre 2021 e presieduta da Marco Ruotolo, ordinario di diritto costituzionale, il 17 dicembre 2021 ha consegnato la propria Relazione conclusiva, alquanto corposa in 226 pagine, che evidenzia aspetti innovativi e proposte di straordinaria portata che, se attuate, porterebbero il nostro sistema penitenziario all’avanguardia, a dispetto delle innumerevoli procedure di infrazione UE e relative condanne subite dal nostro Paese sui temi di giustizia e, nello specifico, delle condizioni di vita negli istituti previdenziali.
A mero titolo di esempio, la Relazione prevede, fra l’altro: che nelle camere detentive debba essere assicurato un spazio individuale di almeno tre metri quadrati; che la rappresentanza dei detenuti debba avvenire attraverso elezioni e non a mezzo sorteggio; l’istituzionalizzazione dei colloqui a distanza, già ampiamente utilizzati in periodo di pandemia, da non conteggiarsi fra quelli consentiti in presenza; che l’attività lavorativa esercitata alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria sia retribuita senza più scontare la riduzione di un terzo dei compensi come previsti dai relativi contratti collettivi; che le perquisizioni fisiche debbano avvenire con l’intervento di personale medico; la concessione dell’uso di telefoni cellulari, cioè una sorta di liberalizzazione delle telefonate, comunque con esclusione di casi particolari come pericolosità di detenuti, ovvero esigenze processuali; la realizzazione a livello regionale di strutture per la programmazione integrata volta alla formazione professionale e l’inclusione sociale del detenuto; l’incentivazione al possesso e uso dei computer all’interno della camera di detenzione; l’incentivazione all’istallazione di parabole satellitari per maggiore fruizione dei servizi televisivi con evidente riferimento alle manifestazioni sportive e soprattutto alle partite di calcio.
“Da gennaio il carcere sarà la mia priorità”, così ha sentenziato la Ministra Cartabia innanzi i componenti la Commissione alla presentazione della Relazione finale, aggiungendo che lo scopo sarà quello di “migliorare la vita quotidiana di chi vive e lavora in carcere”.
Un primo auspicio è che questi intendimenti, queste parole illuminate possano trovare riscontro e attuazione nei decreti delegati per la riforma del sistema sanzionatorio; così le chiacchere resterebbero a zero e il volto umano della ministra Cartabia si rifletterebbe sul nostro sistema penitenziario, consentendo di raggiungere quegli obiettivi di civiltà e di rispetto per gli esseri umani, tutti nessuno escluso, sicuramente pensati ma mai realmente perseguiti dalla nostra classe politica.
Un secondo auspicio è che proprio la politica si riscatti in questo percorso di approvazione delle misure innovative, senza intervenire con i soliti compromessi di bottega, stravolgendo un iter di riforma, che si mostra seriamente impostato con il detenuto al centro del villaggio.