Politica e magistratura,
mai più commistioni

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in una lettera inviata a Giuseppe Santalucia, Presidente dell’ANM (Associazione Nazionale Magistrati) ha sottolineato che “l’alto livello di preparazione professionale va accompagnato dalla trasparenza delle condotte personali”, aggiungendo che la magistratura “ha bisogno di un profondo processo riformatore ed anche di una rigenerazione etica e culturale”.

Più di recente, sempre Mattarella, intervenendo presso la Scuola superiore della magistratura, ha invitato Governo e Parlamento a modificare al più presto le regole per l’elezione dei nuovi togati del CSM (Consiglio Superiore della Magistratura), ritenendo l’attuale metodo “insostenibile”.

La ministra della giustizia, Marta Cartabia, partecipando a un convegno sulla giustizia, ha detto che “è auspicabile una fase parlamentare in cui prima di fare un intervento si vada a vedere che effetto ciò può produrre sull’intero ordinamento, sul carcere o sul suo sovraffollamento, e sulla possibilità stessa di dare applicazione effettiva della legge”. Ha, quindi, aggiunto che “Il potere di punire, tanto terribile quanto necessario, ha assunto dimensioni esorbitanti e non solo in Italia: un “panpenalismo” fatto di abuso e invasività del diritto penale, per cui creare aggravanti o innalzare le pene è la scorciatoia”.

Lo scorso novembre il Consiglio dei Ministri ha definitivamente approvato il Decreto Legislativo sul rafforzamento della presunzione di innocenza, così recependo nel nostro ordinamento giuridico la Direttiva UE 2016/343.

Numerose potrebbero essere le ulteriori citazioni di interventi di parte di esponenti della politica e delle istituzioni, a conferma del cambiamento culturale più garantista e volto alla trasparenza, che sta pervadendo le scelte di riforma del nostro complesso sistema giudiziario, con buona pace di giustizialisti e forcaioli.

Molto c’è da fare, se solo consideriamo che il coacervo di norme consente di diritto a un individuo di essere magistrato e politico allo stesso tempo, per quanto in città diverse. Mi riferisco al caso di Catello Maresca, oggi Consigliere comunale a Napoli e Consigliere di Corte d’appello a Campobasso.

Ad onor del vero, una spaccatura all’interno del CSM c’è stata, ma non in misura tale da inibire il rientro in ruolo di Maresca.

Lo stesso Giuseppe Cascini, componente del CSM, ha stigmatizzato come inaccettabile il contemporaneo svolgimento di incarichi politici e giudiziari e in particolare che ciò rappresenta “un grave vulnus per l’immagine di imparzialità e di indipendenza della magistratura”.

Com’è possibile, quindi, che questo possa essere consentito, risultando del tutto legittimo? È certamente una responsabilità della politica, che nonostante conosca bene il tema delle incompatibilità dei magistrati, non si pronuncia e continua a candidare magistrati. È il Parlamento ad emanare le leggi e la magistratura ad applicarle.

Sul tema è recentemente intervenuta la ministra Cartabia, che ha sottolineato come un caso Maresca non debba più accadere e che “C’è una stella polare della magistratura, che è l’indipendenza, che deve essere non solo praticata, ma anche percepita”.

L’auspicio, quindi, è che la politica rifugga dal candidare magistrati, per quanto autorevoli, anche nel caso di elezioni amministrative, e che i magistrati si astengano il più possibile dal perseguire carriere politiche.

Mai più si deve esser giudicati da chi, schieratosi, ha assunto cariche politiche, a chiaro discapito dell’imparzialità e della trasparenza, che devono naturalmente contraddistinguere non solo l’operato, ma anche l’immagine del magistrato.

Solo tenendo fermamente lontani e scissi il potere politico e il potere giudiziario, si avrà la chance di avere istituzioni credibili, affidabili e rispettate. Il caso Palamara è fin troppo recente per abbassare la guardia.

Ugo Utopia

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