PNRR e composizione negoziata della crisi d’impresa

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza parte dal presupposto che il sistema giudiziario sostiene il funzionamento dell’intera economia. L’efficienza della Giustizia è condizione indispensabile per lo sviluppo economico e per un corretto funzionamento del mercato. Accanto alla necessaria digitalizzazione, alla riforma del processo penale, civile e tributario un ruolo emergente assume il diritto della crisi delle imprese, specie per gli effetti inevitabili della pandemia sul sistema delle imprese.

La letteratura economica mondiale attribuisce al diritto delle imprese in crisi innanzitutto il compito di massimizzare il valore ex post dell’impresa mediante la riduzione dei tempi di svolgimento e dei costi (diretti ed indiretti) della procedura ed in secondo luogo, mirando a riallocarei beni in modo ottimale e cioè secondo criteri che ne assicurino la massima valorizzazione. Le procedure di insolvenza sonocostose, nel senso che consumano esse stesse una parte dell’attivo residuo, sottraendolo alla somma su cui i creditori possono soddisfarsi.

Tra i costi indiretti della procedura concorsuale vi sono quelli derivanti dalla sostituzione,nella funzione di controllo dell’impresa, dell’organo giudiziario o amministrativo ai creditori, i quali sono direttamente e patrimonialmente interessati a far valere le prerogative riconosciute in caso di inadempimento e meglio informati. Il controllo spettante agli azionisti sulla società in bonis dovrebbe infatti passare in caso di insolvenza ai creditori, che si dovrebbero sostituire ai primi quali nuovi residual claimants. Viceversa, le legislazioni fallimentari, come quella italiana, prevedono spesso l’affidamento della gestione del patrimonio a soggetti privi di incentivi e non adeguatamente controllati, con conseguenti inefficienze e costi di delega (c.d. agency cost).

Nel nostro Paese esiste uno svantaggio competitivo rappresentato dai costi direttamente connessi all’inefficienza delle procedure concorsuali. I dati conclamano che le spese e la durata di queste ultime sono di gran lunga le più elevate d’Europa e contemporaneamente le percentuali di recupero tra le più basse in assoluto. Il fondo monetario internazionale e le Corti comunitarie hanno a diverso titolo stigmatizzato il problema. L’azione di recupero nel nostro ordinamento costa ai creditori di più che in ogni altro Paese a capitalismo avanzato con una pesante ricaduta sul costo del denaro e sulla competitività del sistema.

Le diseconomie in caso di crisi possono evidentemente variare molto a seconda dell’ambiente normativo in cui ci si trova a operare. La situazione finisce con l’incidere da un lato sul livello dell’onerosità e della disponibilità del credito bancario, dall’altro, su quello del costo dell’insuccesso del progetto legato all’investimento ossia sul livello del premio di rischio. La letteratura economica in genere è ricca di contributi in cui si verifica analiticamente ed empiricamente “la relazione tra limitazioni nella concessione del credito – razionamento e alti tassi di interesse – e qualità della normativa e dell’enforcement giudiziario sui quali può contare il creditore nel recupero di una somma prestata”. 

I creditori finanziari hanno l’interesse e la possibilità di scaricare sui debitori i costi del diritto delle imprese in crisi attraverso la maggiorazione dei tassi, il multiaffidamento (ad un importo o ad una durata media inferiore) ed il razionamento del credito. Il multiaffidamento è causa di deresponsabilizzazione dei soggetti che valutano il merito creditizio per la erronea convinzione che la frammentazione dell’esposizione del cliente comporti una minore rischiosità e per il determinarsi di asimmetrie informative nella conoscenza globale della situazione del debitore. Il razionamento comporta impossibilità di garantire l’accesso al credito da parte di tutti coloro che lo vorrebbero, neppure laddove offrano di pagare un tasso di interesse più elevato.

In parallelo, tutto questo ha generato la ritardata, o talora mancata, riallocazione dei valori aziendali, dei fattori produttivi e degli stessi rischi assunti, che rimangono per anni ingessati nelle imprese fallite fino ad essere del tutto annullati, invece di rientrare rapidamente in circolo. Non a caso il nostro Paese dopo le recessioni ha vissuto fasi di ripresa del ciclo economico molto più lente ed è quello che occorre evitare nel rimbalzo post-pandemico. E ciò soprattutto in conseguenza del fatto che la struttura produttiva italiana è caratterizzata dalla rilevanza numerica delle piccole imprese più esposte ai rischi derivanti da questa situazione e dalla inesistenza di un vero mercato dei capitali.

La legislazione emergenziale contiene una innovazione sistemica rilevante: la composizione negoziata con la emersione della figura centrale di un esperto terzo che individui in modo asettico e senza subire la pressione del cliente la soluzione più adatta e se del caso crei tutte le condizioni per ricorrere in estrema ratio anche alla via giudiziaria (accordo di ristrutturazione o concordato), rappresentando una sorta di trait d’union tra il debitore ed il Tribunale. Occorre ora costruire una specifica professionalità e specificità anche sul piano formativo. È fondamentale tale consapevolezza nell’esercizio del ruolo. Nell’esercizio del proprio incarico, l’esperto deve agevolare le trattative tra l’imprenditore, i creditori e gli altri soggetti interessati, al fine dell’individuazione di una soluzione atta al superamento dello squilibrio patrimoniale o economico-finanziario.

Egli permane in una posizione di terzietà rispetto alle parti, anche rispetto all’imprenditore, laddove di fatto l’esperto non lo assiste, né si sostituisce alle parti nell’esercizio dell’autonomia privata, avendo unicamente il compito di facilitare le trattative e stimolare gli accordi, operando in modo professionale, imparziale e indipendente, vincolato peraltro dal dovere di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante le trattative. L’esperto non è tenuto a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nell’esercizio delle sue funzioni, né davanti all’autorità giudiziaria né ad altra autorità, salvo in caso di sua audizione necessaria nell’ambito del procedimento relativo alle misure protettive e cautelari qualora richiesta dall’imprenditore.

Se nasce una corretta cultura di questo approccio, potrebbe essere finalmente la soluzione cercata da anni per far emergere tempestivamente lo stato di crisi senza il ritardo esisiziale, che talora nasce dal timore dell’imprenditore di salire quando ancora è in tempo le scale del tribunale.

Francesco Fimmanò

Ordinario di diritto commerciale - Direttore scientifico Università delle Camere di Commercio Mercatorum

Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
Direttore: Roberto Serrentino

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