I Giochi Olimpici e Paralimpici di Tokyo hanno suggellato un’edizione già di per sé straordinaria per le modalità con cui si sono svolti. Oltre 100 medaglie conquistate tra CONI e CIP, forse spinti dall’ondata di positività generata anche dalla memorabile finale di Berrettini a Wimbledon e dalla vittoria agli Europei della nostra Nazionale di calcio, guidata dal grande Roberto Mancini. Ma tornando a Tokyo, l’atletica si è fatta finalmente sentire in entrambi i mondi, con storici risultati che fanno venire i brividi ancora oggi. E scusate se sarò di parte ma forse, la fotografia più bella di queste Paralimpiadi riguarda il podio tutto italiano nei 100m femminili cat T63 (amputate monolaterali transfemorali) e che non ha precedenti: Ambra Sabatini oro, Martina Caironi argento, Monica Contrafatto bronzo. Tutte e tre atlete amputate a causa di un incidente. Quando ripenso a loro, penso anche a quanta strada è stata fatta nell’ultimo decennio. Il merito è degli atleti che ci hanno creduto, ma anche di giornalisti attenti e coraggiosi che hanno raccontato le nostre storie. Io e Martina iniziammo negli anni in cui si parlava di un sudafricano, Oscar Pistorius, che provocò tutti chiedendo di correre con gli atleti cosiddetti “normodotati”. Al di là delle sue vicende personali, certamente gli va riconosciuto il merito di aver acceso i riflettori su questo mondo. Storie hanno ispirato tanti ad avere un approccio migliore e propositivo nei confronti della vita. Dietro ogni atleta c’è sempre un passato che merita di essere raccontato, affinché diventi stimolo per altri a non mollare e un prezioso strumento educativo per tutti coloro che non conoscono, non vivono e temono la disabilità.
Dal 2010 ad oggi è stata fatta molta strada. Insieme a Martina, Monica e tanti altri atleti ho condiviso viaggi, trasferte, gare nazionali e internazionali. Sono stata a tre Europei, due Mondiali e alla paralimpiade di Rio. In questi anni, ho perso e vinto tante gare, ma ho anche intrecciato vite, conosciuto storie.
Senza far torto a nessuno, voglio raccontare brevemente la storia di Monica Contrafatto, Caporal Maggiore Capo Ruolo d’Onore dell’Esercito e Bersagliere. Monica è la prima donna soldato dell’Esercito Italiano a ricevere un’onorificenza, la Medaglia d’oro al valore dell’Esercito, per il comportamento tenuto nel 2012 durante un attacco contro la base italiana in Afghanistan. In quell’azione di guerra subita ci fu un morto, il sergente del Genio guastatori Michele Silvestri e cinque feriti, di cui due gravi, tra cui Monica che perse la gamba destra. Qualche mese, guardando la finale paralimpica dei 100m femminili alle paralimpiadi di Londra in tv dal suo letto, vide trionfare Martina Caironi, amputata ad una gamba sopra il ginocchio proprio come lei. In quel momento decise di allenarsi e realizzò che poteva continuare a rappresentare il suo Paese in modo diverso. Quattro anni dopo Monica era a Rio, mia compagna di stanza, con la quale ho condiviso ansie, sudori, paure, brividi. E poi, le lacrime di gioia nel vederle insieme alla finale dei 100m t63 e sul podio. Un abbraccio liberatorio e di riscatto quello di Monica e Martina. Rispettivamente bronzo e oro. Monica ha raccontato tutto questo in un libro che invito a leggere, un racconto di dedizione, paura e coraggio. “Non sai quanto sei forte” eh sì, perché nessuno di noi sa davvero quanto può essere forte finché la vita non ti mette alla prova. Io stessa ho dovuto perdere due gambe per impararlo.
Come si può rimanere indifferenti davanti a così tanta voglia di vivere? Lo sport non è solo importante volano per l’economia e il turismo, è un prezioso strumento educativo e d’inclusione sociale. Un diritto riconosciuto universalmente anche dalla Convenzione Onu del 2006 sui diritti delle persone con disabilità e che allo sport ha dedicato un intero articolo. Oggi più che mai lo Stato deve garantire e tutelare questo diritto, ed è anche per questo motivo che lo scorso aprile ho depositato una proposta di legge con cui chiedo di inserire il diritto allo sport in Costituzione. Un passaggio culturale importante quanto mai necessario.
Alle paralimpiadi di Tokyo siamo andati con la delegazione più numerosa di sempre. 115 atleti – 115 storie che ci hanno appassionato. Grazie all’attenzione mediatica, la percezione della disabilità sta mutando e questo l’ho provato sulla mia pelle. Dieci anni fa in spiaggia, una mamma copriva gli occhi alla bambina per non farle vedere che io mi toglievo una gamba per svuotarla dell’acqua. Oggi, dieci anni dopo, sono proprio i bimbi che mi riconoscono, mi indicano ai genitori come l’atleta o la ballerina. Eh sì, perché molti di loro mi hanno seguita e sostenuta alle gare oppure a “Ballando con le stelle”, trasmissione per nulla facile, dove le gambe sono protagoniste ed io, che le gambe non le ho, sono persino riuscita a vincere la decima edizione. Scelta coraggiosa di Milly Carlucci, ed io confesso di aver messo in campo tutta la determinazione, per non deludere coloro che mi stavano seguendo e supportando, ancor prima che me stessa. Ho sentito tutto il peso e la responsabilità del messaggio che stavo mandando in quel momento e sono anche certa che se non fossi stata un’ atleta, non solo non avrei vinto, con molta probabilità non sarei mai arrivata fino alla fine.
Lo sport aiuta a trasformare i messaggi rendendoli ancora più potenti ed efficaci. Donne e uomini che dimostrano come il sacrificio e la costanza siano fondamentali per vincere sfide che sembravano impossibili, ma che di fatto, erano solo difficili. Le medaglie si costruiscono, non si improvvisano. I trionfi per nulla scontati, sono frutto di sudore e pianificazione, ce lo hanno ricordato i paralimpici ma anche atleti, solo per citarne alcuni, come la nostra Vanessa Ferrari o le nostre “Farfalle” della nazionale di ritmica che hanno compiuto imprese straordinarie. Ancora una volta lo sport offre opportunità di riscatto.
Qualcuno di molto più importante di me un giorno disse: “Lo sport ha il potere di risvegliare la speranza dove prima c’era solo disperazione”. Mai frase fu più azzeccata. Gli stessi Giochi paralimpici di Tokyo aiutano a guardare la disabilità non come un peso per la società bensì come una risorsa; hanno dimostrato ancora una volta che la disabilità sta negli occhi di chi guarda e questo ce lo insegna anche il grande assente di questa edizione dei Giochi, l’amico Alex Zanardi che ogni giorno ci ricorda che vince chi resiste di più. A lui, che ha creato un meraviglioso gruppo come quello di Obiettivo 3, che mi è stato da stimolo in più di un’occasione, che mi ha spinta a tornare sui kart, non può che andare il mio abbraccio più grande. Oggi, anche grazie a lui, la gente non ci guarda più come “poverini”, ma come persone che ce l’hanno fatta e che grazie allo sport sono rinate. Non chiamateci supereroi, siamo Atleti! Persone che ci hanno creduto e che hanno lavorato duramente; persone che nonostante le difficoltà hanno continuato a lottare, ad amare ed a sorridere a questa cosa meravigliosa che si chiama VITA.