Intervista a Laura Delli Colli

Laura Delli Colli, lei è presidente della Fondazione del cinema per Roma dal 2019. Come definirebbe questa sua esperienza?
Dal giornalismo attivo ad un’esperienza manageriale, un deciso cambio di marcia nella vita professionale, ma anche l’opportunità di mettere esperienza e passione in una nuova sfida, non solo personale. Roma è la città del cinema ed è la mia città. Mi sembra importante poter dare un contributo, non solo nel segno della visibilità, ad un mondo che vivo da sempre anche con lo sguardo della cronaca.

Da quasi venti anni lei è anche presidente dei Nastri d’Argento, assegnati a grandi protagonisti del cinema italiano come Vittorio De Sica e Anna Magnani. Come vede oggi il cinema italiano?
È un cinema che continua a soffrire nelle sale l’effetto covid. Ma forse proprio i mesi difficili che abbiamo attraversato hanno, per così dire, irrobustito e risvegliato la creatività e nelle imprese una nuova voglia di fare squadra, non sempre riuscita nel tempo. Certo, soprattutto per gli esercenti e i distributori, i numeri delle ultime stagioni segnate dalla pandemia sono drammatici, ma le troupe hanno messo in campo covid manager e applicato protocolli speciali a cominciare dall’obbligo dei tamponi, riuscendo a contenere i danni. Se la produzione, anche grazie alla serialità, ha tenuto forte, oltre i grandi set, è il sistema cinema che uscirà con un cambiamento profondo da questa stagione drammatica.
Come per la vita di tutti, anche per il cinema c’è un prima e un dopo covid e, in questo tempo ancora sospeso, ripartenza significa cambiamento di investimenti, regole, formati, perché no, anche di contenuti: pochi mesi fa sembrava che il cinema si preparasse a tagliare fin dalle sceneggiature le scene di baci ed abbracci. Film, che hanno atteso anche tre anni dal primo ciak, hanno pagato il prezzo di un congelamento, che ne ha offuscato in qualche caso la freschezza e comunque li ha allontanati per mesi e mesi dall’incontro con il grande pubblico. È successo a Carlo Verdone con il primo titolo in assoluto tra quelli saltati dalle sale e Nanni Moretti con Tre piani, come a Gabriele Mainetti con Freaks out, che escono solo ora. Comunque è il cinema che vive in tutto il mondo gli effetti di un cambiamento globale. In America perfino Steven Spielberg continua a ritardare l’uscita del suo nuovo West Side Story e il nuovo 007 è uscito solo ora in Italia come nel resto del mondo.

Perché nei più importanti Festival del Cinema, come quello internazionale di Cannes o di Berlino, i film italiani non emergono? L’ultimo film italiano a vincere la Palma d’Oro a Cannes è stato nel 2001 “La stanza del figlio” diretto da Nanni Moretti. È un problema di qualità, o di lobby cinematografiche?
Il cinema italiano nel mondo ha una storia complessa. Soffre, tra le cinematografie europee, della fortissima concorrenza che su tutti ha un colosso come Unifrance, che domina anche i mercati asiatici. Ma il verdetto dei festival è nelle mani di giurie internazionali dove si sintetizzano alchimie complesse e a volte legate al solo gusto di autori o protagonisti molto diversi tra loro. Premi o no, i nostri film sono in vetrina stabilmente nei più grandi festival del mondo. E l’Italia continua ad avere a Hollywood il primato nel numero delle nomination e nelle statuette destinate al miglior film straniero. Senza contare la quantità di Oscar conquistati, anche negli ultimi anni, dai grandi scenografi, costumisti, truccatori, musicisti, che Hollywood ci invidia e chiama a lavorare anche nelle grandi produzioni internazionali: una lunga lista di talenti, che celebra non solo il genio di Ennio Morricone, ma anche l’artigianato eccellente di Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo per la scenografia, Milena Canonero e Gabriella Pescucci e ora, con la prima nomination, Massimo Cantini Parrini per i costumi.
Non direi, comunque, che in questi anni i nostri film siano stati esclusi dai palmarès dei festival più importanti. Cannes e Berlino (dove solo cinque anni fa l’Orso d’Oro è andato a Gianfranco Rosi per Fuocoammare) amano molto l’Italia, soprattutto sulla Croisette c’è sempre un posto in selezione per i più amati tra gli autori italiani. Ma non esiste solo la Palma d’Oro: tre anni fa siamo entrati nel palmarès con il premio sia al migliore attore protagonista, Marcello Fonte per Dogman di Matteo Garrone, sia alla migliore sceneggiatura ex aequo per Alice Rohrwacher (Lazzaro felice). Quest’anno a Cannes abbiamo avuto la Palma d’Onore a Marco Bellocchio e Jonas Carpignano, tenuto a battesimo da un produttore come Martin Scorsese, con A Chiara, ora in uscita anche nelle sale italiane.

Siamo alla sedicesima edizione del Festival del cinema di Roma. Sono attesi grandi ospiti come i registi Quentin Tarantino e Tim Burton. Secondo lei, come si è evoluto il Festival dalla sua nascita ad oggi?
Ricordo da cronista il debutto monstre della Festa: il 13 Ottobre del 2006 quando Nicole Kidman inaugurava all’Auditorium il red carpet più grande d’Europa. Quell’anno c’erano Sean Connery e Leonardo Di Caprio, Monica Bellucci e Richard Gere, Viggo Mortensen e Luc Besson con tantissimi altri talenti indimenticabili. Da allora si sono avvicendate governance e direzioni artistiche diverse, la Festa è diventata Festival con il concorso e i premi, per tornare negli ultimi anni al senso di una grande Festa internazionale. Nelle ultime edizioni abbiamo accolto per ben due volte un genio del cinema mondiale come Martin Scorsese e, con lui, i fratelli Coen, David Lynch, Wes Anderson, Frances Mc Dormand, Michael Moore, Oliver Stone, Xavier Dolan, Meryl Streep, Tom Hanks, Sigourney Weaver, Cate Blanchett, Jake Gyllenhaal, Isabelle Huppert, John Travolta. Con loro anche protagonisti italiani come Giuseppe Tornatore, Bernardo Bertolucci, Roberto Benigni, Nanni Moretti, fino ai due grandi premi alla carriera, che aprono la lista dei grandi ospiti internazionali di quest’edizione: Quentin Tarantino e Tim Burton. Qualità e internazionalità certo non mancano.

La Mostra del Cinema di Venezia nasce nel 1932, quella di Roma nel 2006. C’è competizione, complementarietà, sussidiarietà o cos’altro fra le due manifestazioni?
Una competizione sarebbe impossibile per ragioni oggettive: Venezia ha tra i festival nazionali un indiscutibile primato per la sua valenza istituzionale. Complementarietà o sussidiarietà sarebbero fuori luogo. E comunque non è possibile fare paragoni tra due manifestazioni con vocazioni molto diverse

In una visione a 360 gradi, quali sono le ricadute sulla capitale del Festival del cinema di Roma?
Personalmente credo che scegliere di mantenere anche nel momento più difficile il cuore della Festa all’Auditorium sia stata la strada giusta. Se però un Festival nasce per la città, è fisiologico spingere anche l’acceleratore verso le sale e aprirsi a realtà diverse, dal carcere agli ospedali, dalle periferie al centro, anche in una regione che, come dice il suo slogan, è ‘terra di cinema’. Una Festa che parla al pubblico dev’essere scintillante ma, oltre al glamour, dialogare con il suo pubblico e portare spettatori al cinema. Pur con le difficoltà della scorsa edizione segnata dal covid, su questo punto c’è un ottimo riscontro: tutti gli indicatori, oltre i biglietti o gli accrediti, sono in salita. E l’impennata dei social dimostra che la Festa assomiglia sempre di più, in questi suoi sedici anni, a un’adolescente curiosa che riesce a sintonizzarsi anche con la curiosità dei ragazzi. Abbiamo una sezione autonoma e parallela – Alice nella città – che lo fa autonomamente prendendo per mano i bambini e andando tutto l’anno, comunque, nelle scuole. Ma la sfida più forte è riportare il pubblico in sala e convincere gli spettatori che, con i protocolli, le mascherine e soprattutto il Green Pass, i cinema sono luoghi sicuri, perfino più di tanti mezzi di trasporto.

Immagine ufficiale della 16° edizione della Festa del Cinema di Roma 2021 – Official image Rome Film Fest 2021 – Uma Thurman in Kill Bill. Vol. 2 (Courtesy of Paramount Pictures).

Tra pochi giorni la città di Roma avrà un nuovo sindaco. Cosa gli vorrebbe chiedere per il cinema italiano ed il Festival di Roma?
Un’attenzione crescente al cinema e alla cultura in generale di cui la città ha bisogno. La mia generazione ha scoperto e consolidato la passione per il cinema, viaggiando tra cineclub e i luoghi dell’Estate Romana. Ha vissuto una città attraversata dalla scoperta di un’attrazione fatale. È questa che va risvegliata nel pubblico con più spazi, più attenzione alle norme che consentano ai romani di convivere meglio con i set che a volte invadono le strade, più investimenti. Non dimentichiamo, poi, che Roma è negli occhi e nella memoria del mondo grazie a film indimenticabili e Cinecittà ha un marchio di qualità che attraversa l’oceano, per questo bisogna investire sempre di più sull’attrazione dei grandi set internazionali a Roma, ma soprattutto fare della cultura una priorità, consapevoli che La Grande Bellezza non è solo un titolo da Oscar, ma il senso di un cinema che dialoga col mondo e di una ricchezza ‘storica’, che nel cinema non ha solo radici profonde, ma un futuro ancora tutto da costruire.

Roberto Serrentino

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