Poche settimane fa si è insediata, su iniziativa dei Ministri della Giustizia e dell’Economia, una commissione che dovrebbe redigere una bozza di progetto di riforma della Giustizia tributaria, o quanto meno studiarne gli aspetti e formulare relative proposte.
È di questi giorni anche l’invio alla Commissione Europea, da parte del Governo, del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza), nel quale è inserito, come punto qualificante della riforma fiscale, un progetto di redazione di un codice unico di diritto tributario, che costituisca un’opera di raccolta e razionalizzazione della legislazione fiscale, nell’ottica di favorire la semplificazione del sistema e l’attuazione della certezza del diritto. Per una prima redazione è stata pure nominata una commissione.
Due riforme ambiziose che gli addetti ai lavori, e non solo, richiedevano da tempo e che si spera giungano in porto, rispettando tutti i principi che devono governare il processo tributario e la gestione dei rapporti tra fisco e contribuente, la maggior parte dei quali sono previsti dallo Statuto del contribuente.
Da quanto è dato sapere però è difficile fare rosee previsioni. Anzi, si sta perdendo, salvo ripensamenti dell’ultima ora, una grande occasione, forse irripetibile almeno per i prossimi anni.
Nell’uno e nell’altro progetto, infatti, sembra non sia prevista una – ritenuta necessaria – rilettura appunto dello Statuto del contribuente, auspicata ormai da più parti e di conseguenza una rivisitazione della figura del Garante del contribuente, che dello stesso Statuto ne è il custode (anche questa più volte sollecitata dagli stessi Garanti e da diversi studiosi).
Soltanto un non approfondito approccio alle tematiche enunciate può far ritener che esse siano scollegate o addirittura estranee all’impianto costruito dallo Statuto, dal quale qualsiasi riforma non può prescindere.
Non si conoscono le ragioni di detta omissione, per cui il sottoscritto, nella veste di Garante del contribuente del Lazio e di Presidente dell’Associazione Nazionale dei Garanti del contribuente, aveva suggerito, ma inutilmente, ai Ministri proponenti l’ingresso in detta commissione di uno dei ventuno Garanti presenti nelle singole regioni e di un professore universitario esperto della materia, proprio per far evidenziare l’opportunità di ampliare la visuale conoscitiva della stessa commissione in un contesto organico sistematico, partendo dallo Statuto. Analoga opportunità si ravvisa anche per la riforma fiscale.
Lo Statuto del contribuente, a parte la sua collocazione nella gerarchia delle norme, impone al legislatore regole di diritto sostanziale e processuale, regole ispirate sostanzialmente ai principi della Carta Costituzionale, e che puntualizzano i reciproci doveri e diritti del fisco e del contribuente, nell’ottica di un rapporto improntato al principio della collaborazione e della buona fede.
L’iter che portò alla approvazione dello Statuto fu alquanto travagliato. Il progetto fu previsto come gruppo di norme di rango primario e, quindi, di rilievo costituzionale.
Dopo un lungo ed acceso dibattito si arrivò, nel 2000, all’approvazione dell’attuale testo in vigore, che, all’art. 1 stabilisce da un lato che le disposizioni contenute nel documento costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario in attuazione di alcuni articoli della Costituzione richiamati, dall’altro che le stesse disposizioni possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali. Una collocazione a metà strada tra norme primarie ed ordinarie.
Il Prof. Gianni Marongiu, recentemente scomparso, considerato unanimemente il padre fondatore dello Statuto del contribuente, in occasione di vari incontri finalizzati a redigere un progetto di riforma dello stesso riforma che egli riteneva indispensabile -, si rammaricava per il fatto che alla fine si fu quasi costretti ad accettare questo compromesso per evitare un rinvio sine die dell’approvazione del testo. Bisognava impedire che, a tacer d’altro, il nostro Paese non si allineasse agli altri pasi europei.
Lo Statuto dovrebbe essere la stella polare di guida per il legislatore, per i giudici, per l’amministrazione finanziaria ed infine per il contribuente.
Purtroppo la sua ibrida collocazione ha consentito al successivo legislatore di approvare, con leggi speciali, norme addirittura non in linea con i principi generali dello Statuto. Lo si è riscontrato ad esempio, lo scorso anno (pandemia imperante) con l’approvazione di leggi, che hanno prorogato i termini di decadenza per gli accertamenti d’imposta, in violazione implicita e non espressa del terzo comma dell’art. 3 dello Statuto.
Logica e visione comparata del funzionamento delle Istituzioni imporrebbero, perciò, che in vista di riforme strutturali in un settore di così grande respiro, si avvertisse l’esigenza non solo di effettuare una rilettura delle norme statutarie, che, come detto, a distanza di venti anni abbisognano di un adeguamento alle esigenze emerse, ma anche e soprattutto che le novelle, che si andranno a proporre e ad approvare, non ignorino quei principi previsti dal richiamato art. 1, con riferimento recettizio agli artt. 3, 23, 53, 97 della Costituzione.
Ma se ci si può rassegnare al fatto che la riforma dello Statuto resterà purtroppo nel cassetto, più difficile è accettare, come sembra inevitabile, che anche la figura del Garante del contribuente, resti così com’è, sostanzialmente al di fuori del circuito delle Istituzioni.
Creato dall’art. 13 dello stesso Statuto, con una norma che presupponeva l’adozione di una successiva disciplina che ne fissasse con precisione ruolo, poteri, autonomia e la sua collocazione nel quadro delle istituzioni, è stato abbandonato a se stesso. Non gli è stata data quella visibilità e conoscenza indispensabili per allargare il più possibile il suo bacino di utenza per rendere costruttivo e diffuso il dialogo tra il contribuente ed il fisco.
La limitata operatività del Garante che complessivamente e mediamente in un anno disbriga circa seimila pratiche, il 50% delle quali con esito positivo o parzialmente positivo per il contribuente, è determinato dalla scarsa conoscenza che si ha di questo organismo anche da parte degli addetti ai lavori. Il dato è irrisorio se si considera la platea dei contribuenti e soprattutto il numero dei ricorsi che vengono depositati annualmente alle Commissioni Tributarie Provinciali (circa 250.000). L’intervento del Garante dovrebbe avere anche l’effetto deflattivo del contenzioso.
Più di una volta sono stati sollecitati gli Uffici a rispettare il disposto dell’art. 5 dello Statuto, che impone appunto alle amministrazioni finanziarie di assumere idonee iniziative volte a consentire la completa ed agevole conoscenza delle disposizioni legislative ed amministrative vigenti in materia tributaria.
La scarsa conoscenza della figura del Garante determina un limitato, oggettivo ed incolpevole utilizzo e crea di fatto una sperequazione tra i contribuenti e le singole posizioni giuridiche, cioè tra coloro che possono rivolgersi a lui, sapendo del suo ruolo e coloro ai quali, per ignoranza non censurabile, sfugge la possibilità di utilizzare questo strumento posto nel suo interesse.
Una sperequazione che si ha l’obbligo di rimuovere anche per il dettato dell’art. 3 della Costituzione.
Sempre il richiamato articolo 13 dello Statuto contiene una grossa contraddizione, sul piano dell’indipendenza, che, per un verso viene formalmente riconosciuta e per altro verso subisce condizionamenti dalla previsione che le funzioni di segreteria e tecniche sono assicurate al Garante dagli uffici delle Direzioni Regionali dell’Agenzia delle Entrate.
In sostanza il funzionamento degli uffici del Garante, peraltro quasi tutti allocati presso quelli delle suddette Direzioni Regionali, dipende dalla messa a disposizione da parte di queste ultime (le principali interlocutrici dei contribuenti) di personale e mezzi.
La stessa denominazione di Garante del contribuente è fuorviante, perché induce a ritenere che egli abbia il compito istituzionale di fare gli interessi del solo contribuente, una sorta di duplicazione del difensore civico nel settore tributario.
Il Garante deve svolgere invece un ruolo di terzietà, al di sopra delle parti, facendosi carico delle loro esigenze, stemperando le posizioni conflittuali, ma sempre nel rispetto delle leggi, mai proponendosi come mediatore. È chiaro che mentre nella dialettica processuale è auspicabile il pieno, concreto riconoscimento della parità delle parti, in quella amministrativa la supremazia dell’ufficio impositore è fuori discussione.
È necessario, quindi, che l’organo impositore ed esecutore, nell’esercitare i suoi poteri, rispetti le norme, prime fra tutte quelle Costituzionali e Statutarie. La funzione del Garante è proprio quella di ripercorrere l’iter delle procedure attivate dagli uffici finanziari, per accertare se siano state effettivamente osservate queste norme, o siano stati adottati comportamenti che possano incrinare i rapporti di fiducia tra cittadini ed amministrazione. Un controllo però privo di alcun potere decisionale e coercitivo, così come l’attivazione dell’autotutela sollecitata dal Garante, che può essere disattesa dall’ufficio competente.
Tra le varie definizioni del ruolo e delle attribuzioni del Garante, sulle quali andrebbe fatta una profonda riflessione, la più appropriata nel contesto attuale sembra essere quella di “Giudice della persuasione”.
Ma il discorso sarebbe troppo lungo, per questo si impone un approfondito dibattito per ridefinire la natura giuridica ed il ruolo del Garante del contribuente. L’appello, quindi, è che nell’alveo delle riforme allo studio sulla giustizia tributaria, trovi sede un’attualizzazione delle disposizioni contenute nello Statuto del contribuente e delle funzioni del Garante, quale occasione propizia per un salto di qualità nei rapporti contribuente-amministrazione finanziaria.