Intervista a Matteo Bisceglia,
Ammiraglio Ispettore Capo, Direttore dell’OCCAR
Ammiraglio Matteo Bisceglia, lei è un profondo conoscitore delle dinamiche geopolitiche e della cooperazione internazionale nei settori difesa e armamenti. Attualmente è il Direttore dell’OCCAR. Qual è secondo lei il ruolo della NATO? In prospettiva futura, potrebbe essere oggetto di cambiamenti rilevanti?
Indubbiamente i cambiamenti nello scenario mondiale dell’ultimo decennio sono caratterizzati da una sempre maggiore rapidità e dinamicità, che hanno radicalmente cambiato il modo di approcciarsi ai concetti di sicurezza globale e Alleanza militare. Pertanto, è naturale che le storiche tre principali aree d’azione della NATO vengano ripensate per rendere l’Alleanza flessibile ed efficiente: difesa collettiva, gestione delle crisi e sicurezza cooperativa sono temi sempre attuali ma che necessitano, quindi, di un ripensamento a livello di struttura, competenze specifiche ed assetti.
È in questo scenario globale che si inserisce l’iniziativa “NATO 2030”, lanciata dal segretario generale Stoltenberg. La NATO ha preso atto della necessità di rinnovarsi e con la NATO 2030 mira ad elaborare una nuova strategia per il futuro dell’Organizzazione. L’obiettivo finale è quello di un’Alleanza maggiormente impegnata politicamente, che metta in campo iniziative vaste e rafforzi la cooperazione tra gli Alleati, usando un approccio globale che affianchi allo strumento militare strumenti anche economici e diplomatici.
Nuove sfide future? Dalla lista certamente non escluderei quelle legate ai cambiamenti climatici dove la NATO deve giocare un ruolo fondamentale, con lo sviluppo di una “green defence”. Certamente, in una realtà globalizzata caratterizzata non solo da “domini classici”, ovvero di realtà fisica, ma anche da “domini virtuali”, un’Alleanza strategica non può che dare la dovuta rilevanza al concetto di cybersecurity e cyberdefence.
La centralità del cambiamento climatico e gli effetti negativi per il mancato rispetto della salvaguardia ambientale saranno determinanti anche sulla sicurezza stessa delle nazioni. Già vediamo gli effetti dei cambiamenti climatici sull’approvvigionamento delle risorse idriche e sulle migrazioni di massa che hanno importanti risvolti, oltre che umanitari, anche securitari. Pertanto, la NATO guarda al cambiamento climatico anche attraverso la creazione di specifici Gruppi di Lavoro per garantire la tutela dell’ecosistema quali l’Enviromental Protection working group (EPWG) e lo Specialist Team on Energy Efficiency and Enviromental Protection (STEEP). È chiaro che la ricerca scientifica per lo sviluppo di forme di alimentazione energetica alternativa e la scoperta di nuovi materiali non solo potrebbe significativamente contribuire ad abbatterebbe l’impatto ambientale dell’industria militare e dell’impiego operativo, ma potrebbe avere effetti positivi anche nel ruolo di garante e promotore per la sicurezza tra gli Stati. Per riprendere il concetto che ho accennato pocanzi, pensiamo alle tensioni generate dalla corsa all’accesso a nuove risorse o a materie prime come le “terre rare”, contribuendo a risolvere l’annoso problema della dipendenza da Paesi esteri in materia di forniture energetiche o materiali fondamentali per la produzione industriale.
Sulla centralità della cybersecurity nessuno ha più dubbi. Oggigiorno gran parte della nostra vita sociale e lavorativa ruota intorno alla tecnologia: transazioni economiche, informazioni strategiche e dati personali viaggiano in rete. È per questo che il cyber spazio rischia di diventare uno dei campi delle battaglie del futuro con continui attacchi futuri alla sicurezza nazionale e collettiva. Il controllo del cyberspazio è e sarà sempre di più un fattore di vantaggio competitivo per le forze armate e per le nazioni.
Come può definirsi il rapporto che lega NATO e Unione Europea, anche alla luce della globale situazione pandemica?
Considerando che la quasi totalità degli Stati Europei ha aderito all’Alleanza Atlantica, è innegabile il legame che esiste tra l’Unione Europea e la NATO.
Il 2016 è stato un anno chiave, che ha visto l’avvio quasi simultaneo della EU Global Strategy e di una partnership più strutturata, concreta e strategica fra l’Ue e la Nato, ulteriormente ampliata e approfondita nel 2018 (Ue e Nato, Joint Declaration on EU-NATO Cooperation by the President of the European Council, the President of the European Commission, and the Secretary General of the North Atlantic Treaty Organization, Bruxelles, 10 luglio 2018), che si è tradotta in 74 azioni concrete. Tra i successi derivanti da queste azioni figurano quelli relativi alla comunicazione strategica e al contrasto alle attività ostili di informazione, nonché quelli relativi alla maggiore preparazione in materia sanitaria, particolarmente utili durante la prima ondata di Covid-19, sia per combattere attività di disinformazione, che per coordinare efficacemente il supporto medico. La partnership strategica ha dato anche risultati positivi in materia di cyber security e di mobilità militare in Europa.
Altrettanto innegabile però è notare come le diverse politiche adottate dalla Presidenza degli Stati Uniti abbiano influenzato l’attività della NATO. Oggi usciamo dalla presidenza di Trump con un’Alleanza che ha, nell’ultimo quadriennio, potuto contare meno sullo strategico ed imprescindibile supporto economico, militare e di expertise degli USA. Il calo di interesse da parte dell’uscente amministrazione si è tradotto in una minore competitività dell’Alleanza nel suo complesso, che deve tornare ad essere centrale nella diplomazia politico-militare dell’Occidente.
A fronte di un indebolimento delle azioni dell’Alleanza e dell’influenza statunitense, negli ultimi anni è cresciuta la volontà dei paesi membri dell’Unione Europea di portare avanti il progetto di un vero e proprio sistema di difesa comune. Un progetto che deve essere complementare alla NATO e che non può sostituirla. Oggi la difesa europea ha visto un importante riavvicinamento tra Francia e Germania, che promuovono une difesa a trazione franco-tedesca, che si fonda sulla necessità di garantire la sicurezza europea in maniera autonoma, atta anche a razionalizzare le spese comuni, semplificando la logistica degli armamenti e, contestualmente, rafforzando un progetto imprescindibile per essere competitivi a livello globale.
La crisi pandemica giocherà un ruolo fondamentale, potendo promuovere un riavvicinamento tra Europa e Stati Uniti, insieme nella lotta al virus e all’attuale crisi economica globale, o sancire una ulteriore separazione qualora fossero privilegiate politiche protezionistiche a tutela unicamente dei propri interessi nazionali.
Quale impatto politico ed economico possiamo aspettarci dalla Brexit, anche in tema di collaborazione Governi-Difesa?
L’Europa spesso è stata accusata di essere un’opera incompiuta, nata sotto la spinta degli interessi economici legati al libero scambio di merci tra gli Stati e mai concretizzatasi in una reale unione politica e conseguentemente della difesa.
La Brexit si è concretizzata forse nel momento in cui l’Europa stava avviando le più importanti iniziative “comuni” dalla sua istituzione, soprattutto nel campo della sicurezza. Basti pensare alla EU Global Strategy del 2016 e alle iniziative di finanziamento nel campo della ricerca e dello sviluppo di nuove tecnologie e sistemi per la difesa quali il Preparatory Action for Defence Research (PADR) e l’European Defence Industrial Development Programme (EDIDP), nel Multiannual Financial Framework (MFF) UE 2014-2020, e l’European Defence Fund nel MFF 2021-2027. Tali iniziative avevano come scopo primario quello di promuovere la cooperazione tra gli Stati.
L’uscita della Gran Bretagna ha creato un terremoto nello scacchiere geopolitico europeo e, nonostante sia stato raggiunto un difficile accordo tra le parti a livello politico, probabilmente nessuno oggi è in grado di immaginare gli effetti economici che la BREXIT avrà nel breve e nel medio termine sul sistema Europa nel suo complesso. È certo che gli scambi economici tra l’Europa ed il Regno Unito ne risentiranno in qualche modo, specie per quanto attiene le supply chain di molti settori industriali, che nel passato avevano intrapreso la strada della globalizzazione ed oggi le principali aziende di successo sono quelle che hanno esteso i propri mercati ben oltre i propri confini nazionali. Esempi nel settore della Difesa, sono certamente industrie come AIRBUS, MBDA, LEONARDO, ecc.
Per quanto riguarda la cooperazione tra gli stati, anche questa sarà in qualche modo ostacolata. Basti pensare all’idea di sviluppare due fighter di 6^ generazione in Europa (TEMPEST e FCAS). Possiamo permetterci queste duplicazioni soprattutto in questo momento di crisi economica? Un ruolo fondamentale dovrà essere svolto anche dalla politica per superare rapidamente gli strascichi della separazione e riprendere a lavorare insieme.
Il ruolo della Difesa nel periodo Covid e post-Covid con un occhio alle disposizioni sul Recovery Plan.
Appare sempre più evidente il ruolo della Difesa e delle Forze Armate di tutti i Paese anche a supporto della sicurezza Nazionale interna, come è emerso in maniera lampante nel corso di quest’ultimo anno e mezzo di pandemia. L’esempio forse più concreto in Italia è rappresentato dal magnifico lavoro che sta svolgendo il Generale Francesco Figliuolo nel coordinare le operazioni di vaccinazione e la logistica messa in piedi dalle forze armate, in primis l’esercito nell’allestimento e gestione degli hub vaccinali e nella distribuzione “ordinata” dei vaccini disponibili per minimizzare gli sprechi. Pensiamo ai trasporti aerei di malati e materiale sanitario assicurato o ai medici militari e alle strutture ospedaliere militari, che hanno permesso di meglio gestire la crisi sanitaria nazionale.
In secondo luogo, è fondamentale considerare come la pandemia legata al COVID-19 ci abbia mostrato la vulnerabilità della odierna società. Con la globalizzazione dell’economia mondiale e delle supply chain di tutte le principali industrie indipendentemente dal settore di appartenenza, si è creato un’importante interdipendenza tra gli Stati. Una possibile risposta, non nuova in periodi di crisi, è il ricorso a misure protezionistiche in supporto delle proprie industrie nazionali e in parallelo un ritorno ad una nuova “regionalizzazione” delle produzioni, cercando di internalizzare alcune capacità strategiche fondamentali, delocalizzate per motivi di risparmio. L’industria della difesa, che da sempre riesce a garantire nicchie di eccellenze ad alto livello tecnologico, sarà di supporto alla sopra citata “internalizzazione” di questi asset strategici.
Infine, le crisi economiche, come per esempio quella 2008, ha causato un’importante riduzione degli investimenti nelle spese militari, in particolare nel ramo dello sviluppo di nuovi sistemi e tecnologie. Le prime ripercussioni economiche sono già evidenti, basti pensare ai tagli alla spesa nel settore della difesa dell’Unione Europea e specificatamente alla riduzione dei fondi stanziati per l’iniziativa European Defence Fund (EDF) nel piano finanziario pluriennale 2021-2027, dai 13 miliardi di euro inizialmente previsti a poco più di 7 miliardi.
Esperti economisti, tuttavia, concordano che la crisi economica globale legata al COVID è unica nel suo genere e ha impattato contemporaneamente sulla domanda e sull’offerta. Le politiche monetarie delle Banche Centrali possono aiutare iniettando “moneta” e “capitali” nel sistema, ma potrebbe non basterà se non vengono affiancate politiche espansive in termini di investimenti da parte dei governi nazionali. Gli Stati Uniti hanno superato meglio dell’Europa la crisi del 2008 abbandonando la politica del rigore del controllo del debito investendo in settori produttivi: il cosiddetto “debito buono” di cui tanto si parla, che viene pagato dalla bontà degli investimenti fatti. L’Europa del COVID sembra aver individuato la giusta via ed il Recovery Fund ne è la massima espressione. Negli investimenti l’industria della Difesa può in tal senso ricoprire un ruolo di primo piano come sorgente di tecnologia e innovazione. Da quanto ho provato a spiegare, spero di aver fatto comprendere quanto la politica militare sia parte integrante della sicurezza nazionale, che è patrimonio comune, capace di supportare la crescita e la logistica civile nell’immediato, ma anche nel medio-breve termine.
Soprattutto, in un difficile periodo come questo sarebbe altamente auspicabile che il concetto di cooperazione tra le Nazioni e soprattutto tra le industrie possa essere sfruttato appieno per limitare i danni dovuti alla pandemia, che ovviamente limiterà le risorse a disposizione delle singole Nazioni
Collaborazione Europea e Atlantismo nella Difesa. Quale impatto c’è da attendersi sull’industria militare?
Le già citate iniziative europee di finanziamenti nel settore della difesa, nel campo della ricerca e dello sviluppo di nuove tecnologie e sistemi per la difesa quali il Preparatory Action for Defence Research (PADR) e l’European Defence Industrial Development Programme (EDIDP), nel Multiannual Financial Framework (MFF) UE 2014-2020, e l’European Defence Fund nel MFF 2021-2027, sono la chiara manifestazione dell’ambizione della UE di perseguire un’autonomia strategica dagli alleati statunitensi e controllare il crescente “Atlantismo” della Difesa Europea.
Tale approccio si è reso necessario anche in risposta ad un progressivo disinteresse degli stessi dalle attività dell’Alleanza in Europa e nel bacino del Mediterraneo e Medio Oriente in favore di una nuova focalizzazione verso Oriente a tutela e supporto dei propri interessi commerciali.
Il rinato asse franco-tedesco nella cooperazione nel settore della difesa e i congiunti proclami politici del Presidente Macron e della Cancelliera Merkel, circa gli importanti Programmi di Cooperazione futuri da lanciare sotto la leadership di una o dell’altra nazione, quali l’elicottero TIGER MK3, il Main Ground Combat System o il fighter di 6^ generazione FCAS, rappresenterà il motore trainante della cooperazione europea. Starà agli altri paesi europei, in primis l’Italia e la Spagna, che vantano importanti eccellenze nel settore della Difesa, cercare di ricavarsi un posto di primo piano in queste cooperazioni.
Da un lato limitare la collaborazione europea al dualismo Francia–Germania potrebbe essere proprio uno dei motivi di un fallimento dell’iniziativa, dall’altro questo rappresenterebbe finalmente un chiaro segnale europeo nei confronti degli altri player mondiali USA e Cina in fattispecie.
Questo avrà sicuramente pesanti ripercussioni sull’industria militare. Come accennato in precedenza, la cooperazione potrebbe finalmente diventare la normalità per condividere i costi, perseguire economie di scala e ricercare le eccellenze tecnologiche di ogni Paese. Le industrie della difesa per continuare ad avere successo dovranno intercettare questo processo e magari esserne promotrici attraverso la stipula di accordi industriali o joint venture. Per tutti, industrie e Stati, sarà fondamentale non mancare all’appuntamento per non essere esclusi o relegati a ruoli minori.