Una buona partenza del governo Draghi

È di comune dominio come il governo Draghi sia un vero e proprio cantiere aperto per realizzare significative riforme, che muovono dalla burocrazia al fisco, dalla giustizia alla sostenibilità ambientale e non solo.

Non iniziative per tamponare e superare gli impatti del covid su macro e micro economia, ma veri e propri interventi strutturali su più fronti per cercare di risolvere criticità accumulate negli anni.

Questa percezione diffusa sta generando grandi aspettative, fondate non solo sull’autorevolezza del Presidente del Consiglio e sulla scelta di indiscusse personalità di prestigio a capo dei più importanti dicasteri, ma anche sul fallimento della politica, nella considerazione che i governi Conte 1 e 2 hanno dato vita soprattutto a una serie di provvedimenti a macchia di leopardo, tutt’altro che strutturali, ancora oggi oggetto di contestazione.

Tuttavia, il problema principe che dovrà affrontare questo governo, di volta in volta, alla presentazione di ogni proposta di riforma, poggerà sul confronto/scontro fra ministri “del fare”, orientati al pragmatismo e alla risoluzione reale dei problemi, e politici che spesso derogano alle migliori decisioni, subordinando il perseguimento del bene comune alla ricerca del consenso. Ciò non toglie che anche i partiti propongono cose buone a beneficio della collettività, o almeno di alcune categorie, ma sicuramente viene prima il soddisfacimento dell’interesse egoistico per un maggior consenso.

Trovare una quadra fra queste esigenze non è e non sarà facile.

La partenza del governo di Mario Draghi, comunque, è stata buona e infonde fiducia. La riduzione del numero dei componenti da 25 a 12 del Comitato Tecnico Scientifico è stata percepita quale scelta di razionalizzazione e efficienza, piuttosto che di spartizione politica.

È stata apprezzata anche la sicurezza e la trasparenza con cui sono state date le informazioni all’esito dei Consigli dei Ministri: una comunicazione ficcante e rassicurante che, senza preamboli, va al cuore del problema. È stato varato un condono per le cartelle esattoriali più datate e Draghi ha parlato propriamente di condono, esattamente ciò che è, senza mezzi termini. Poteva usare espressioni come rottamazione di cartelle, revisione, procedura di efficientamento, invece ha detto proprio così “condono, perché lo Stato non ha funzionato”.

Draghi ha dimostrato quello che tutti si aspettavano: autorevolezza, leadership, capacità di mediare e fare sintesi delle posizioni dei partiti e la prima medaglia per il suo governo è arrivata con il Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale, siglato lo scorso marzo dal Ministro Renato Brunetta con le principali confederazioni sindacali. Un primo passo verso una profonda riforma della pubblica amministrazione, che contribuirà alla migliore finalizzazione del recovery fund, anche se il percorso sarà lungo.

Ma credo che il vero banco di prova dell’abilità del nostro Presidente del Consiglio e con lui della Ministra della Giustizia Marta Cartabia sarà la revisione del processo penale. Già la Ministra ha detto che l’istituto della prescrizione del processo penale troverà trattazione nell’ambito di una più ampia riforma. Ciò significa due cose: in primis, rinviare di qualche mese il problema, poi, che dovrà necessariamente essere mediata un’eventuale soluzione con gli altri provvedimenti di riforma (revisione delle nomine nel CSM, riduzione dei tempi dei processi, ecc.). Lo scontro politico sarà inevitabile, fosse solo per la mancanza da parte dei partiti di una certa coerenza, che, alla luce di quanto avvenuto soprattutto nel recente passato, sembra essere sfacciatamente perduta.

I partiti oggi hanno un limite e un’opportunità: il limite di essere risucchiati nell’orbita pragmatica ed efficientista di Draghi e vedersi, quindi, precludere iniziative di parte, settarie e propagandistiche; l’opportunità di concorrere davvero al bene comune e al processo evolutivo del Paese, aderendo a provvedimenti che risolvano le criticità incancrenite da anni a causa dei continui veti incrociati della politica e aiutando così i cittadini a coltivare una rinnovata fiducia nei confronti della classe dirigente politica.

Mario Draghi non è un politico di professione, non è alla ricerca del consenso tout court, non si può dire che abbia ambizioni politiche. Questa sua libertà gli consente, come ha dimostrato, di essere concreto nell’approccio ai problemi, efficiente nei provvedimenti che assume, lungimirante nel profondo senso di responsabilità con uno sguardo al futuro, come ha detto nella prima riunione del Consiglio dei Ministri: “sulle materie mie, ho la mia visione”. Draghi annuncia una radicale riforma fiscale entro l’anno, ma va oltre, perché la riforma dovrà contemplare anche la stabilizzazione del quadro di finanza pubblica nazionale all’interno di un nuovo e condiviso sistema di regole comunitarie. In un recente sondaggio Ambrosetti, oltre il 90% degli imprenditori interpellati si è espresso in senso favorevole sull’esecutivo Draghi, che, senza ombra di dubbio, è più interessato e preoccupato delle percentuali di contagi e decessi causa covid-19, piuttosto che dei consensi.

Facessero, quindi, un passo indietro i partiti e si lasciassero guidare da chi ha salvato l’unione monetaria nel 2012 e l’Italia nell’Unione Europea, tenendo anche a mente che, in un futuro non troppo lontano, Mario Draghi potrebbe diventare il prossimo Presidente della Repubblica Italiana e, per quanto Presidente di tutti, avrà comunque buona memoria di quanto avvenuto durante il suo governo.

Roberto Serrentino

Direttore di Dimensione Informazione

Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
Direttore: Roberto Serrentino

© Copyright 2024 | Dimensione Informazione
Tutti i diritti riservati

Privacy Policy Cookie Policy Cambia preferenze

Contatti:
Viale Giuseppe Mazzini, 134 - 00195 Roma
Telefono: 06.37516154 - 37353238
E-mail: redazione@dimensioneinformazione.com