Il nuovo anno ha portato l’ennesimo cambio di guida al governo del Paese, determinato dalla crisi politica innescata una volta ancora da Matteo Renzi oramai decisivo nel bene e nel male, non sappiamo per quanto ancora, sugli equilibri e gli scenari politici degli ultimi anni. Sicuramente curiosa, come sempre, la manovra renziana di consueto abbattimento dei bersagli, che di volta in volta identifica. Manovre ai confini di ogni limite, che sino ad oggi gli sono quasi sempre riuscite. Ha una rara abilità di incunearsi nelle crepe già esistenti, allargarle e far crollare lo stabile affinché se ne ricostruisca uno migliore su cui prendersi il merito. Sulle motivazioni reali del suo agire è complicato trovare un senso preciso. Istinto politico predatorio o distruttore? Prendersi sempre la scena quando si trova in disparte o declassato dai sondaggi? O, come ultima ipotesi, reale ricerca del bene per il Paese? Senza alcun dubbio la sintesi la troviamo nei primi 2 punti, che riassumono quanto sia prigioniero del proprio ego!
Ricordo per la cronaca che è l’ottavo (!!!) avvicendamento di premier in Italia e ulteriore cambio di coalizione di governo negli ultimi dieci anni considerando che Conte I e Conte II erano composti da coalizioni diverse e, almeno apparentemente, profondamente distanti. Dieci anni fa eravamo all’ultimo anno dell’ultimo governo Berlusconi, poi in autunno sarebbe arrivato Monti e poi ancora i successivi diversi governi negli anni a venire. Insisto nel sostenere che questa discontinuità di guida al timone e nella compagine governativa è uno dei mali maggiori del nostro Paese, indipendentemente da chi ne sia la guida o coalizione di governo stessa. In nessun altro paese al mondo accade. Non garantendo continuità, si fa del male all’impresa a qualsiasi livello e in qualsiasi settore, alle politiche economiche e di qualsiasi altra natura. Questa ulteriore crisi di inizio 2021 ha portato alla formazione del governo Draghi, di fatto un esecutivo di unità nazionale tecnico-politico composto da forze miste, con all’interno tutti i partiti sostanzialmente, escluso Fratelli d’Italia, la cui leader Giorgia Meloni è sempre più determinata nell’avere la coerenza come elemento prioritario del suo percorso politico, che potrebbe portarla a numeri ancor più importanti alla prossima tornata elettorale. Un nuovo governo, dunque, certamente con un bel peso di responsabilità sia per la crisi in cui ci troviamo, sia per le fortissime attese che la figura del neo Presidente Draghi genera. Sicuramente con grandi ambizioni in termini di possibile, vera ripresa per mezzo del Recovery Fund, di riforme e di realizzazioni.
Troppo complesso giudicare il lavoro del secondo governo Conte per via di una situazione senza precedenti negli ultimi 70 anni a livello di emergenza nazionale. Sicuramente mi sento di poter dire che a livello di comunicazione si sarebbe potuto gestirla meglio, in modo profondamente diverso e con meno esposizione mediatica del premier che abbiamo visto in prima persona su qualsiasi fronte, anche se poi va detto che a livello di popolarità (secondo i sondaggi) Conte ne avrebbe beneficiato. Ma credo che quest’ultimo dato non sia un problema del Paese e neanche tra i tanti pensieri che dovrebbe avere il Paese.
Torniamo al nuovo governo e le forti aspettative che ne hanno accompagnato la formazione e la nascita, la cui motivazione deriva dalla competenza ma, ancor più, dall’autorevolezza internazionale del nuovo premier, elemento fondamentale nell’attuale fase storica, quest’ultimo a mio parere, non solo per via del Recovery Fund.
Considerato da sempre la riserva e risorsa di lusso della Repubblica, d’accordo tutti del ruolo importante che ha svolto alla guida della BCE non solo per la sostenibilità del debito sovrano, ma per la sua autonomia rispetto a qualsivoglia interesse di parte, Mario Draghi rappresenta una garanzia in Italia e in Europa (di riflesso anche a livello mondiale). È dunque arrivato il suo momento nella politica nazionale e alla sua squadra di governo spetterà l’espletamento della vaccinazione di massa, elemento fondamentale per uscire dalla pandemia e dalla indiscutibile crisi sociale, economica e culturale in cui ci troviamo. Il nuovo governo avrà l’onere e l’onore di tentare il rilancio economico del Paese, la ripresa di tutte quelle attività che maggiormente sono state colpite dal dramma della pandemia per il tramite di interventi strutturali di riforma e investimenti da realizzare grazie a nuove risorse europee, politiche monetarie espansive e allentamenti di vincoli, che non erano neanche lontanamente ipotizzabili solo poco tempo fa. Non potrà al contempo fare a meno di programmare e cercare di realizzare la riforma della giustizia e della pubblica amministrazione, temi sui quali sarà interessante verificare come si interfacceranno e troveranno la quadra i nuovi rappresentanti del governo, non tanto i tecnici, comunque assolutamente di primo livello, quanto coloro che rappresentano coalizioni che fino a poco tempo fa erano in totale disaccordo su più temi e in dicotomia. Certamente il momento di grande crisi ed emergenza faciliterà la responsabilizzazione e porterà a una sempre minore divergenza e maggiore unità d’azione, sperando che l’aspetto propagandistico passi decisamente in secondo piano. Il forte auspicio è che si possano superare le fasi dei teatrini e delle deleterie competizioni e concorrenze personali, che si torni al vero interesse per il bene comune e su tutto ciò sarà fondamentale anche il ruolo dei media in tal senso, per il tramite di una comunicazione più sobria, meno esplosa su qualsiasi tema e meno personalizzazioni. Una comunicazione più selettiva ed essenziale e devo dire che i primi segnali sono più che confortanti. Una politica più funzionale, orientata all’azione e all’ottenimento dei risultati. Ciascuno dei vari leader politici dovrà armonizzarsi a una politica forte e unitaria del premier sui vari fronti: Salvini adattarsi ad una visione meno populista e sovranista, mentre i 5S, con la decisione di entrare nel governo derivante dalla votazione sulla piattaforma Rousseau, sicuramente dovranno perdere almeno in parte la loro visione anti-sistema oramai inutile e anacronistica, evidente che Di Maio abbia da tempo preso questa strada di riconversione ora sicuramente implementata, rafforzata e consolidata dalla perdita di vari rappresentanti tra i più rivoluzionari del movimento e dall’arrivo del moderatissimo ex premier Conte. Il PD credo dovrà rifondarsi, anche e non solo a valle delle dimissioni del suo leader politico, apprezzabili per senso di responsabilità che sempre più raramente si denota nel panorama politico italiano. Curioso che le sue dimissioni abbiano generato tanto stupore nonostante le profonde lacerazioni interne esistenti, le troppe diverse micro-correnti in continua lotta su ruoli e poltrone e ancor più considerando che Zingaretti, quasi lo si dimenticava, è anche il presidente di una delle regioni più importanti in una fase di assoluta emergenza sanitaria e sociale da un anno senza fine e non si capiva, dunque, come facesse a focalizzarsi su due ruoli così centrali. Il passo indietro del leader PD ha aperto la strada al ritorno in patria e in campo di Enrico Letta, che certamente offre al Pd una guida autorevole, prestigiosa anche a livello internazionale e che presumibilmente lavorerà a un progetto politico in parte già avviato da Zingaretti: un centrosinistra alleato al nuovo M5s di Giuseppe Conte.
Avrà senza dubbio maggior peso nel governo Draghi e proverà a presentarsi alle elezioni del 2023 con un nuovo volto. Dovrà guardarsi bene dai nemici perché all’interno del PD e non solo esistono ancora correnti, notabili illustri e nascosti, e varie trappole che potranno scattare in qualsiasi momento, vecchie o nuove che siano. Sicuramente il PD non poteva far scelta migliore e più autorevole per statura, competenza e affidabilità e siamo ora di fronte a un orizzonte politico certamente più rassicurante. Con Enrico Letta alla guida del PD, si può prefigurare un asse solido con Draghi nell’interesse del Paese, scevro da interessi e giochi di parte e non credo dunque vi saranno problemi a livello di armonizzazione alle direttive governative e lo stesso vale per Forza Italia, che gode di nuova vitalità dopo una fase in cui sembrava destinata ad affievolirsi ed esser inglobata dai suoi storici alleati oramai ben più strutturati e numericamente rilevanti. Giorgia Meloni, in una responsabile, isolata, ma vivace opposizione, resta in attesa di mettere a terra i suoi futuri ulteriori consensi nella prospettiva di riunirsi ai suoi alleati nelle prossime tornate elettorali e diventare il leader del futuro centro-destra. Tutto ciò nella speranza che si torni ad un confronto politico che sia costruttivo e non continuamente distruttivo e quasi unicamente di continua reciproca delegittimazione. Ho fiducia che si possa aprire una fase nuova, un momento di vera rottura rispetto al recente passato, che ha vissuto un’infinita irrisolta transizione, da quasi 30 anni, nella speranza che, se pur con tutte le difficoltà ed emergenza attuali, si possa intravedere un nuovo Risorgimento italiano con una vera ripresa economica, sociale ed occupazionale.