Intervista a Pierluigi Biondi

Pierluigi Biondi, lei è il sindaco di L’Aquila dal 2017. Sono trascorsi quasi 12 anni dal sisma del 6 aprile 2009, che ha provocato 309 vittime, migliaia di sfollati, oltre a danni ingenti in decine di centri abitati del cratere. Che ricordi ha di quella tragedia?
In quegli anni ricoprivo la carica di sindaco di un piccolo comune, Villa Sant’Angelo, che ha avuto il numero più alto di vittime, 17, rispetto alla popolazione residente di 450 persone. Ricordo il boato, la testiera del letto che colpiva ripetutamente la parete. Le immagini, apocalittiche, di quella notte, la disperazione dei cittadini, le urla di chi cercava i dispersi sono incancellabili. Ricordo la mia amica Giorgia Meloni, all’epoca ministro della Gioventù, che dopo avermi chiamato per sapere come stessi e di cosa potessimo avere bisogno, si presentò con la sua auto per portare conforto e sostegno ai miei concittadini. E poi la grande solidarietà nazionale, i tantissimi volontari che giunsero da ogni parte d’Italia per prestare soccorsi e un modello funzionante di Protezione civile che, nel corso degli anni, è stato scientificamente smantellato da una parte della politica. Ricordo anche che il 28 aprile il governo Berlusconi stanziò i primi fondi per la ricostruzione con un decreto che assegnava risorse per 10,6 miliardi di euro: la somma più alta impegnata da un esecutivo nazionale per il sisma 2009, tra tutti quelli che si sono succeduti nel tempo, rispetto a un processo su cui lo Stato Italiano ha investito circa 21 miliardi.

Cosa può dire oggi dell’iter della ricostruzione seguito dalle amministrazioni cittadine succedutesi nel tempo?
La ricostruzione degli edifici privati è a un buon punto: il percorso è giunto all’80% e nei prossimi due, tre anni al massimo, potrà dirsi concluso. Siamo sotto la “soglia fisiologica” delle circa mille pratiche che rimangono da istruire con altre 28.500 già concluse. Il discorso cambia, e molto, per la ricostruzione pubblica, giunta faticosamente al 60% e sottoposta alla rigidità della normativa sugli appalti pubblici, farraginosa e spesso contradditoria. C’è un peccato originale, a mio avviso. Nel 2012, in maniera frettolosa e poco lungimirante, l’amministrazione che mi ha preceduto chiese e ottenne la fine dello stato di emergenza, quando in realtà la situazione necessitava ancora di poteri speciali in grado di condurre al compimento della ricostruzione di scuole, chiese, monumenti ed edifici di rilevanza pubblica. L’Aquila è passata, così, da fase emergenziale a ordinaria, di fatto bloccata nel momento in cui tutto stava partendo. Poco alla volta abbiamo cercato di recuperare il tempo perduto: il prossimo autunno sarà riconsegnato alla comunità Palazzo Margherita, il palazzo di città; sono state ricostruiti due istituti scolastici, i cui iter amministrativi erano rimasti imbrigliati dalla burocrazia. Nel campo dell’edilizia scolastica stiamo sfruttando al massimo la possibilità di ricorrere ai poteri commissariali, concessi dal Decreto Scuola dell’aprile scorso. L’opportunità che non si è riusciti a cogliere immediatamente dopo il terremoto è stata quella di cimentarsi in una nuova visione per il territorio, disancorata dalle certezze dogmatiche del “dov’era e com’era”, non definendo sin da subito una strategia prospettica negli anni. La rotta è stata invertita, ma il potenziale resta invariato ed è su questo che stiamo lavorando.

A fronte di tante difficoltà, comunque, il popolo aquilano ha reagito, dando prova di grande orgoglio e dignità. Com’è la situazione oggi?
Oltre a essere al centro di un grande processo di rigenerazione urbana, L’Aquila ha individuato la sua strada, articolata, che si sviluppa su più assi e ha accresciuto la sua centralità rispetto alle aree interne abruzzesi e appenniniche, grazie alle competenze acquisite nel post sisma, alla presenza di istituti, enti e aziende impegnate nel campo della ricerca e della formazione, alla sua radicata tradizione culturale: tutti elementi che ne fanno un modello replicabile su scala nazionale. Un esempio in cui si mescolano capacità di gestione dell’emergenza, innovazione nei servizi al cittadino, in cultura, formazione e turismo. Qui sorgeranno la prima scuola di formazione nazionale dei Vigili del fuoco e la Casa delle tecnologie emergenti – saranno solo sei in tutta in Italia – che garantirà trasferimento tecnologico alle Pmi del territorio per sostenerne sviluppo e competitività, grazie al partenariato attivato con i due atenei cittadini e prestigiosi partner italiani e internazionali del settore della ricerca e della formazione. Qui sono presenti eccellenze mondiali nel campo del settore chimico-farmaceutico e dell’aerospace. Ancora, la mobilità sostenibile è una realtà ed è continuamente incentivata: penso al nostro parco mezzi pubblico e ai fondi stanziati per l’acquisto di bici e auto elettriche (ben prima del bonus governativo). Il nostro ospedale è al centro di un piano di investimenti importante. All’Aquila la cultura non è considerata un bene voluttuario o superfluo ed è proprio in virtù della sua storica tradizione – che la portò a essere definita la “Salisburgo d’Italia” da Rubinstein – che sarà rafforzata dalla presenza della sede distaccata del MAXXI, mentre i suoi enti e istituzioni musicali, teatrali e culturali dimostrano via via sempre rinnovata energia. L’oggettiva qualità della vita, certificata da rilevazioni scientifiche pubblicate recentemente da Il Sole 24 Ore e Italia Oggi, ha consentito che questa terra divenisse meta ambita di turisti consapevoli e non più semplici visitatori “mordi e fuggi”. E proprio il turismo, insieme all’innovazione, alla formazione e alla cultura, è uno dei pilastri della “Carta dell’Aquila”, manifesto delle città medie delle aree interne, sottoscritta nel novembre 2019, che individua una strategia per lo sviluppo delle realtà mediane della nazione, quell’Italia in salita che quotidianamente lotta per il riequilibrio con le aree metropolitane e costiere. Una vivacità che cova sotto le ceneri della pandemia e che speriamo possa tornare presto ad ardere.

Passando al tema del coronavirus, come ha affrontato L’Aquila l’emergenza?
Il primo provvedimento adottato ha riguardato l’istituzione di un’unità di crisi comunale, deputata proprio alla gestione dell’emergenza, fin dalla metà di marzo 2020. Immediatamente abbiamo provveduto alla limitazione degli accessi del pubblico negli uffici, all’attivazione del lavoro agile per i nostri dipendenti (che risale addirittura al 25 febbraio scorso, ben prima delle disposizioni governative e ministeriali per il contenimento della pandemia, del lockdown e delle definizioni delle fasce di rischio). Abbiamo avuto un approccio prudente ma razionale, non lasciandoci travolgere dall’isteria derivante da informazioni carenti e disorientanti. Da un lato abbiamo imposto alle aziende impegnate nella ricostruzione – sono attivi circa 500 cantieri con oltre 5mila operai – l’obbligo di tamponi per le maestranze, dall’altro l’obbligo di mascherina nei luoghi all’aperto e per la movida già da fine maggio. Parallelamente abbiamo lavorato affinché il Covid-19 non prevalesse su tutto, non uccidesse la cultura e non fermasse il mondo che le ruota attorno. La scorsa estate abbiamo ospitato circa 40 eventi, concerti e appuntamenti, che hanno visto protagonisti di primo piano del panorama italiano e internazionale: Antonello Venditti, Vittorio Sgarbi, Daniele Silvestri, Uto Ughi, Enrico Ruggeri, l’orchestra Sinfonietta di Roma diretta dal maestro Andrea Morricone, che ha tributato un commovente omaggio al papà Ennio, peraltro cittadino onorario dell’Aquila. Abbiamo sostenuto gli esercizi commerciali, abbattendo le tasse comunali e, ancora sotto il profilo della prevenzione, da dicembre abbiamo invitato la popolazione a ripetute campagne di screening, somministrando oltre 32 mila test antigenici con particolare attenzione agli studenti, al personale docente e non docente e ai ragazzi delle società sportive che hanno ripreso l’attività agonistica. Ciascuna azione è stata accompagnata da un’informazione costante con la campagna “Vinci il virus”, necessaria a rendere la cittadinanza consapevole e più sicura.

Cosa pensa del governo Draghi?
Aspettiamo di vedere i primi atti concreti del nuovo esecutivo per poter formulare un giudizio. Resta da vedere se la figura del presidente Mario Draghi, per quanto di prestigio, riuscirà a tenere insieme, nel medio o lungo periodo, i cocci di quelle forze politiche – come Pd, 5stelle, Iv, altre componenti del centrosinistra – che nel corso di questi ultimi mesi hanno manifestato reciproche insofferenze sino ad arrivare all’apertura della crisi e farle convivere, addirittura, con altre che sino a qualche settimana fa erano all’opposizione. Le maggioranze parlamentari, per quanto legittime, in passato erano frutto di un bipolarismo che nel corso del tempo è venuto meno, con conseguenti frizioni tra partiti e movimenti che hanno tradizioni, orientamenti e valori differenti. Il governo Berlusconi, dal 2008 al 2011, è stato l’ultimo realmente legittimato da un voto popolare ed è forse arrivato il momento di attuare una revisione dell’attuale assetto costituzionale e normativo, che consenta ai cittadini di eleggere direttamente il premier e che questo possa essere sostenuto da una coalizione definita sin dal principio, che garantisca rappresentanza proporzionale e con un premio di maggioranza: un modo per eleggere il “sindaco d’Italia”, come ha definito qualcuno l’ipotesi della nuova legge elettorale.

Perché Fratelli d’Italia ha scelto di rimanere all’opposizione?
Sul nome del presidente del Consiglio, Mario Draghi, nessuno ha avuto nulla da dire circa la sua serietà e competenza, ma a lasciare perplessi è la modalità con cui partiti e formazioni, provenienti da tradizioni e storie profondamente diverse tra loro, possano convivere e trovare la sintesi su temi per i quali esistono sensibilità diverse. Mi chiedo come possa essere trovata l’unità su argomenti importanti come la riforma fiscale, flat tax, giustizia, infrastrutture, welfare o sostegno alle famiglie e alle imprese. Un governo debole come il Conte bis su questioni centrali come Recovery plan e gestione della pandemia ha già dovuto effettuare una serie di mediazioni che hanno bloccato gli investimenti sulla crescita, ripiegando sulla politica dei bonus, dimostrando di pensare più alle prossime elezioni che al prossimo decennio. Fratelli d’Italia, coerentemente con quanto detto a più riprese, ha confermato di non essere disponibile a un governo con Pd, 5stelle e Renzi, rispettando quanto promesso agli italiani. Responsabilmente sarà all’opposizione e valuterà, di volta in volta, se dovessero esserci proposte su cui poter ragionale e da cui la nazione potrà trarre reale beneficio.

Vuole mandare un messaggio a questo nuovo governo?
L’Aquila e i tutti i territori colpiti dal sisma, tanto quelli del cratere 2009 quanto quelli del centro Italia, hanno bisogno di continuare a essere sostenuti. Nel corso degli anni c’è sempre stata una figura, all’interno del governo, riferimento e punto di raccordo tra Roma e le aree terremotate. Con il governo Conte 2 il premier ha detenuto la delega sulla ricostruzione e questo, per i mille impegni con cui il Presidente del Consiglio è alle prese quotidianamente in un Paese complesso come l’Italia, non ha agevolato il dialogo con le comunità e i rappresentanti di vaste aree del territorio che devono rinascere materialmente, economicamente e socialmente. È auspicabile, pertanto, che nel novero dei nuovi sottosegretari venga individuata una figura, di alto profilo, in grado di poter garantire questo raccordo costante tra esecutivo nazionale ed enti locali del cratere 2009 – dal momento che per il sisma del Centro Italia è stata individuata la figura di Giovanni Legnini quale commissario per la ricostruzione – rappresentativi di luoghi feriti e bisognosi di cure costanti e durature nel tempo.

Roberto Serrentino

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