Adozione di minore e coppie omosessuali,
a che punto siamo? 

Nonostante la critica e la resistenza del Vaticano, l’Italia con la legge Cirinnà (L. 16/2016), come ormai noto, ha consentito a persone maggiorenni dello stesso sesso di costituire, a mezzo di una dichiarazione raccolta dall’ufficiale di stato civile in presenza di due testimoni, un’unione civile, da cui deriva l’obbligo di assistenza morale e materiale, di diritto successorio, nonché di contribuzione ai bisogni comuni in funzione delle proprie sostanze e capacità di lavoro professionale e casalingo.

Tuttavia la legge Cirinnà, pur regolando le unioni civili, non ha previsto la possibilità per le coppie omosessuali di adottare un minore.

La giurisprudenza è, quindi, intervenuta e ha così permesso di colmare, benché parzialmente, tale lacuna legislativa riconoscendo al genitore omosessuale la possibilità di adottare il figlio del partner biologico (c.d. Stepchild adoption), a condizione che: tra il genitore sociale e il minore sussista un legame familiare stabile e consolidato, che l’adozione risponda al preminente interesse del minore e che sia conforme all’ordine pubblico nazionale, ovvero all’insieme dei principi fondamentali garantiti dalla nostra Costituzione e vigenti nello Stato italiano.

La Stepchild adoption, si tenga presente, presuppone che il genitore adottante ed il figlio adottato abbiano un vincolo di sangue.

Tutt’altra situazione – ben più complessa rispetto a quella appena esaminata poiché consistente in un vero e proprio vuoto legislativo – riguarda la c.d. adozione piena di un minore da parte di una coppia omosessuale, ovvero in assenza di vincoli genitoriali biologici con l’adottato.

Infatti, secondo l’ordinamento giuridico italiano, segnatamente ai sensi della L. n. 184 del 1983, l’adozione piena è consentita solo ai coniugi uniti in matrimonio, che, nell’ordinamento italiano è, a sua volta, consentito solo a persone di sesso diverso.

Quindi, attenendoci scrupolosamente al tenore letterale della disposizione legislativa sopra richiamata, in Italia non è consentito alle coppie omosessuali di accedere all’adozione piena.

Il Diritto, tuttavia, è sempre in continua evoluzione in quanto esso deve adeguarsi e rispondere prontamente ai cambiamenti che avvengono all’interno della società civile e, in particolare, avere un occhio di speciale riguardo all’evoluzione dei rapporti interpersonali dei cittadini nonché all’elaborazione di quelli che vengono definiti i “nuovi diritti” (ad esempio e di recente formulazione, si pensi al diritto alla privacy o ai reati ambientali).

Comunque la si voglia vedere, l’adozione piena di un minore da parte di una coppia omosessuale ruota intorno al diritto di una persona di essere messa nelle condizioni di poter creare una famiglia; poco interessa l’orientamento sessuale della persona adottante.

È la Costituzione della Repubblica italiana stessa che lo impone. Infatti, l’art. 31 stabilisce espressamente il dovere della Repubblica di proteggere la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.

Ciononostante, a causa di mancanza di volontà politica o, forse, del ritardo delle Istituzioni competenti nell’intraprendere iter legislativi capaci di colmare il vuoto legislativo, l’Italia è uno dei pochi Stati Membri europei a non riconoscere l’adozione piena di minori da parte di coppie omosessuali.

L’Italia ha dimostrato, ancora una volta, la sua arretratezza nella volontà politica e una palese mancanza di

coraggio dovuta all’esistenza di forti pressioni da parte del Vaticano, sia alla poca lungimiranza delle Istituzioni.

Inoltre, varcando i confini giuridici nazionali ed entrando nell’ambito del diritto internazionale, occorre tener conto anche della Convenzione dell’Aja del 1993, per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, ratificata in Italia con L. n. 476 del 1998, secondo cui il riconoscimento dell’adozione può essere rifiutato dagli Stati membri solo se esso sia manifestamente contrario all’ordine pubblico, tenuto conto dell’interesse superiore del minore.

Non si capisce, quindi, su quali fondamenta possa reggersi l’assunto della contrarietà all’ordine pubblico dell’adozione piena di minore da parte di coppie omosessuali. Infatti, solo in Italia e pochi altri paesi non è consentita l’adozione piena di minore alle coppie omosessuali, perché essa è riservata alle coppie unite dal vincolo del matrimonio.

Come mai tale distinzione emerge solo per l’adozione e non per altri effetti giuridici? Posto che, matrimonio ed unione di fatto sono giuridicamente assimilabili dal punto di vista degli effetti civili.

Perché non si è tenuto conto dell’interesse superiore del minore?

Perché non si è tenuto conto del diritto di autodeterminazione della persona?

Dacché, col passare del tempo, si è consolidata una prassi-escamotage, (forse) capace di aggirare la “mancanza” presente nell’ordinamento giuridico dello Stato italiano: ovvero, presentare istanza di adozione piena di minore dinanzi alle Autorità di quegli Stati in cui tale pratica è estesa anche alle coppie omosessuali. Dopodiché, ottenuto il provvedimento di adozione, la coppia di fatto ne chiede la trascrizione presso l’Ufficio di stato civile nel cui Comune è stabilmente residente.

Ed è in questo solco che è intervenuta Corte di Cassazione che, con l’Ordinanza n. 29071 dell’11 novembre 2019, ha chiesto la rimessione alle Sezioni Unite per la risoluzione della questione “se sia contrario all’ordine pubblico e quindi non trascrivibile nei registri dello Stato Civile italiano, il provvedimento dell’autorità giudiziaria straniera, che ha disposto l’adozione di un minore in favore di una coppia dello stesso sesso, ove nessuno degli adottanti risulti legato da vincoli genitoriali biologici con l’adottato”.

Risibilmente, una risposta non è ancora pervenuta nonostante il considerevole tempo trascorso.

Eppure, precedentemente alla rimessione dell’Ordinanza alle Sezioni Unite, con riguardo alla trascrivibilità di atti stranieri attestanti la filiazione nei confronti di coppie omosessuali, la giurisprudenza si è espressa in termini positivi, chiarendo che è riconoscibile in Italia un atto di nascita straniero, validamente formato, dal quale risulti che il nato è figlio di una coppia omosessuale, atteso che non esiste, a livello di principi costituzionali fondamentali (e quindi di ordine pubblico!), alcun divieto per le coppie omosessuali di accogliere e generare figli, venendo in rilievo la fondamentale e generale libertà di autodeterminazione delle persone, che ricomprende quella di formare una famiglia a condizioni non discriminatorie rispetto alle coppie eterosessuali.

Della stessa opinione anche il Tribunale per i Minorenni di Firenze che, in data 08.03.2017, ha accolto la richiesta di trascrizione avanzata da una coppia omosessuale, ponendo alla base del suo ragionamento l’impossibilità di rifarsi alla nozione di ordine pubblico per giustificare discriminazioni nei confronti dei minori perché l’omosessualità dei genitori osta al matrimonio in Italia e conseguentemente all’adozione.

Discriminazioni o distinzioni, comunque le si voglia definire, che secondo l’art. 3 della Costituzione non dovrebbero mai sussistere in quanto “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”

Più chiaro di così!

Ed è l’ennesima dimostrazione che l’Italia, purtroppo, è ancora un paese retrogrado.

Avv. Daria Pesce
Presidente Commissione Giuridica F.E.N.CO – Federazione Nazionale Consoli

Avv. Manfredi Landi
Membro Commissione Giuridica F.E.N.CO – Federazione Nazionale Consoli

Daria Pesce

Avvocato, Presidente Commissione Giuridica F.E.N.C.O.- Federazione Nazionale Consoli

Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
Direttore: Roberto Serrentino

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