Clima e energia: taglio di CO2
a discapito delle bollette di famiglie e imprese

La UE, che ha lanciato il Green Deal con l’obiettivo di rendere il vecchio continente climaticamente neutro al 2050, con zero emissioni nette di gas a effetto serra, nel dicembre scorso ha deciso un’ulteriore riduzione vincolante di CO2 di almeno il 55% entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990, contro il precedente taglio del 40%.

Il nostro Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) approvato nel gennaio 2020, dovrà così essere adeguato innalzando ulteriormente i già sfidanti obiettivi, lontani dall’essere raggiunti, in termini di produzione di energia da fonti rinnovabili, efficientamento energetico e mobilità sostenibile.

Ma a quale prezzo? Al sistema produttivo italiano, che ha già fatto investimenti e programmi per traguardare gli obiettivi al 2030, vengono chiesti nuovi sforzi – e quindi ulteriori costi che impattano sulla competitività delle nostre imprese – quando il nostro Continente è responsabile del 10% delle emissioni climalteranti globali.

Intendiamoci, la transizione ecologica ed energetica è un’opportunità per lo sviluppo sostenibile, ma deve essere equa e perseguita con pragmatismo, contemperando la sostenibilità ambientale con quella economica e sociale. Applicando la neutralità tecnologica, occorrono investimenti capaci di generare un impatto duraturo sulla crescita, in grado di creare e consolidare filiere per la nostra industria, di favorire l’occupazione e la resilienza economica e sociale.

Temo invece che questa accelerazione della UE, condivisa dal Governo italiano sostenuto da una maggioranza permeata da una sfrenata ideologia ambientalista, creerà problemi al nostro sistema economico, drenerà, sprecandole, molte risorse a debito dal Recovery Fund e aggraverà le bollette energetiche di famiglie e delle nostre imprese che si confrontano con la competizione globale. Non porsi questi problemi significa abbandonare la nostra industria già alle prese con forti difficoltà, per il Covid e non solo, e lasciare sul campo di battaglia tante chiusure e molti disoccupati.

Per fare solo un esempio, ridurre fortemente le emissioni di gas ad effetto serra significa impattare nel Sistema Europeo di Scambio di Quote di Emissione (ETS) e, a breve, non solo determinare un incremento delle quotazioni monetarie delle emissioni di CO2, mettendo in ginocchio le nostre aziende, in particolare quelle del settore “Hard to Abate”, ma anche correre il forte rischio di estendere il sistema ETS ad altri settori ad oggi esclusi: agricoltura, edilizia e trasporto.

Preoccupa non poco la litigiosità tra le forze di maggioranza, che sta determinando un forte ritardo nella predisposizione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) con il programma di investimenti che il governo italiano deve presentare alla Commissione UE per rispondere alla crisi pandemica da Covid-19.
La bozza del PNRR ha tutta l’aria di un libro dei sogni. Troppi gli indirizzi generici, mancano le priorità e l’analisi delle tante criticità presenti nel Paese. In ambito energetico sono assenti obiettivi strategici, come la riduzione delle bollette energetiche, la minore dipendenza energetica del nostro Paese dall’estero o la diversificazione degli approvvigionamenti (peraltro perseguita grazie al TAP, operativo dal 31 dicembre 2020 nell’assordante silenzio del M5S e del PD locale, da sempre contrari all’opera).

Il PNRR è utopico nel perseguire la decarbonizzazione abbinandola alla sola elettrificazione, magari esclusivamente da fonti rinnovabili, senza riconoscere il ruolo strategico di accompagnamento del gas naturale nella transizione energetica. Viene dato risalto al Superbonus 110%, per incentivare gli interventi di riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare privato, che però – data la complessità – è in stallo e sta deludendo le aspettative di cittadini, tecnici e imprese del settore edilizio in crisi dal 2008. Per quanto riguarda l’idrogeno, per il quale sono in corso le preliminari riflessioni sulla fattibilità e sostenibilità del suo uso nei diversi settori, anche per definire la Strategia Nazionale dell’Idrogeno, il PNRR si ferma allo sviluppo sussidiato dell’idrogeno verde (mentre quello blu è spregevolmente considerato greenwashing), costosissimo e lontano dall’avere un mercato industriale.

L’impressione è che con il PNRR si giungerà ad una distribuzione a pioggia dei miliardi con pochi investimenti capaci di rilanciare l’economia.

E così, allo stesso modo, si preferisce non sfruttare le nostre georisorse, pur soffrendo l’Italia di una dipendenza energetica dall’estero del 76% (contro la media UE del 54) e importando il 93% del gas. Una forte criticità che pone in nostro Paese in posizione debole e ricattabile.

A riguardo, preoccupano le recentissime dichiarazioni pseudo-ambientaliste del Ministro Patuanelli, titolare dello Sviluppo Economico, sulla volontà di vietare definitivamente tutte le attività estrattive nel nostro Paese, oggi in parte sospese per la moratoria in corso. Significherebbe dare il colpo di grazia al comparto nazionale dell’Oil&Gas e condannare alla chiusura eccellenze industriali come il comparto ravennate o la Val d’Agri e Tempa Rossa in Basilicata con conseguenze drammatiche sull’occupazione e gli investimenti, mettendo a rischio decine di migliaia di posti di lavoro. Una tale sciagurata decisione ci costringerebbe ad importare tutti i consumi di petrolio e soprattutto di gas naturale (che nemmeno al 2050, con una transizione energetica spinta, potranno essere eliminati) facendo pagare i maggiori costi dell’energia agli italiani e alle imprese, aumentando a causa delle importazioni anche l’inquinamento e l’emissione di gas climalteranti, senza contare l’azzeramento del gettito dei canoni per le casse dello Stato e l’annullamento delle royalties ai territori.

In tema di fonti rinnovabili, siamo molto lontani dal raggiungere gli obiettivi al 2030, figuriamoci quando questi saranno innalzati. Per produrre l’energia elettrica da FER, in prevalenza fotovoltaico e eolico, negli ultimi due anni abbiamo installato nuova capacità per meno del 20% di quanto avremmo dovuto. Senza contare che gli incentivi per le rinnovabili negli ultimi 15 anni stanno gravando per circa 15 miliardi annui sulle bollette elettriche attraverso gli oneri generali di sistema. Troppi i problemi per i quali il Governo Conte è latitante: le autorizzazioni per gli impianti (non solo per i nuovi, ma anche per l’ammodernamento e il potenziamento degli esistenti) sono lunghissime e anche il tanto sbandierato decreto ‘Semplificazioni’ ha deluso le aspettative; i bandi per l’ottenimento degli incentivi sono un fallimento; manca l’individuazione delle aree idonee per realizzare gli impianti e spesso, quando queste sono individuate, ci si mettono le comunità locali e soprattutto la Soprintendenza a bocciarli. Anche per i parchi eolici e fotovoltaici, infatti, si manifesta la sindrome di NIMBY, anche tra gli stessi sostenitori della produzione di energia interamente da FER, un’ipotesi assurda per la sicurezza del sistema energetico data la non programmabilità dell’eolico e soprattutto del fotovoltaico.

Nel settore dei trasporti si insiste nel voler sussidiare prevalentemente l’elettrico, facendo un grande regalo alla Cina, che peraltro ha il controllo del mercato minerario delle “terre rare” necessarie per produrre le batterie, sacrificando la filiera italiana dell’automotive in estrema difficoltà anche per l’emergenza Covid.

La decarbonizzazione della mobilità va invece perseguita nel rispetto delle neutralità tecnologica, incentivando anche altri combustibili, come il metano, il GPL, i nuovi diesel Euro 6 e sostenendo lo sviluppo dei biocarburanti e dei carburanti sintetici, dando così una prospettiva per la conversione verso la sostenibilità alla nostra industria petrolifera, che grazie alla ricerca e all’innovazione è in grado di sviluppare, con l’economia circolare, un mix di prodotti low carbon capaci di vincere le sfide ambientali. Il parco circolante esistente non può essere rinnovato solo con l’elettrico per posizioni ideologiche, che rischiano di aumentare le diseguaglianze sociali e di indirizzare malamente le risorse, già scarse, visto che non tutti possono permettersi auto elettriche da 40-50.000 euro.

In conclusione, è molto forte il timore che nei piani della maggioranza di governo ci sia un netto squilibrio verso la sostenibilità ambientale a danno di quella economica e sociale e che gli stessi siano viziati da pregiudizi ideologici come il no al gas, al teleriscaldamento, ai termovalorizzatori, ai carburanti alternativi, all’idrogeno blu, nonché allo sviluppo dell’idroelettrico, unica fonte rinnovabile programmabile. Questi no, improntati alla decrescita felice, impediscono gli investimenti e frenano la resilienza e la capacità di ripresa del Paese.

L’ambientalismo ideologico e catastrofico e il “gretinismo” imperante rischiano di ostacolare transizione ecologica e progresso tecnologico. La “rivoluzione verde” deve rappresentare un pilastro del PNRR per il quale l’esecutivo Conte dovrà stanziare circa 75 miliardi di euro. Occorre, quindi, serietà per trasformare queste risorse finanziarie in investimenti capaci di abbassare il costo dell’energia per famiglie e imprese italiane, ridurre la dipendenza energetica dall’estero del nostro Paese e aumentare la sicurezza e la sostenibilità del sistema energetico, stimolando la filiera nazionale. Non certo per un’inutile e becera programmazione propagandistica.

Paolo Arrigoni

Presidente di GSE S.p.A. – Gestore dei servizi energetici

Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
Direttore: Roberto Serrentino

© Copyright 2024 | Dimensione Informazione
Tutti i diritti riservati

Privacy Policy Cookie Policy Cambia preferenze

Contatti:
Viale Giuseppe Mazzini, 134 - 00195 Roma
Telefono: 06.37516154 - 37353238
E-mail: redazione@dimensioneinformazione.com