Narra una vulgata salottiera che l’avvocato Agnelli, richiesto del perché non andasse più a Capri, abbia risposto “io andavo a Capri quando le contesse facevano le mignotte e non adesso che le mignotte fanno le contesse”. Se non è vera è ben trovata, perché oggi l’inversione dei ruoli sembra un fatto acquisito in molti campi, inclusa, si parva licet, la politica.
Mi ricordo, come esempio personale, che, nei primi anni sessanta c’era qualche liberale. Oh non erano molti neanche allora, ma qualcuno c’era, ragionavano pacatamente di politica ed economia, sapevano di storia e soprattutto la ricordavano, si provavano a difendere i diritti dei cittadini e la libertà di azione di tutti, proprio tutti. Quando potei iscrivermi alla Gioventù Liberale, il partito di Giovanni Malagodi era presente, non grande, ma presente e difendeva un’idea di tolleranza senza eccezioni che era insita nella sua tradizione.
Oggi i liberali sono ancora meno e sparsi in pochi club di bene intenzionati, ma, in compenso, praticamente tutti (che bello!) si dichiarano liberali, specie a sinistra.
È vero, a sinistra, un giorno sì e l’altro pure, chiedono lo scioglimento di polizia di qualche formazione politica di estrema destra, perché la Costituzione del 47 ha una disposizione antifascista transitoria che non vogliono far “transire” mai (e inoltre contraddittoria coi suoi stessi principi generali), ma sono liberali, molto liberali. È vero, a sinistra molto spesso organizzano presidi militanti e contromanifestazioni aggressive, quando un partito di centro-destra osa fare un comizio o un corteo (il contrario invece non succede praticamente mai), ma sono liberali, molto liberali. È vero, a sinistra, scordando che populismo ha lo stesso etimo di popolo e di popolare, attaccano i “populisti” ogni volta che questi vincono un’elezione, perché per loro i voti non si contano, ma si “pesano” ed è impensabile per loro che il voto di un Vip modaiolo di Capalbio conti altrettanto di quello di un cittadino della val Brembana (come nella Fattoria degli Animali, dove qualche animale era più uguale degli altri), ma sono liberali, molto liberali. È vero, a sinistra, chiedono continuamente provvedimenti per vietare per legge opinioni non “politically correct”, sulle unioni omosessuali, sulle differenze etniche, sulle immigrazioni, sui revisionismi storici, sull’uso del web, ma sono liberali, molto liberali. È vero, a sinistra invocano sempre nuove regole e controlli per limitare il diritto alla proprietà privata e l’esercizio della libertà di impresa, fino a imbrigliare l’iniziativa privata con mille nuovi lacci e lacciuoli che strozzano l’economia (quando non vogliono puramente statizzarla), ma sono liberali, molto liberali. È vero, a sinistra aggiustano un po’ la storia, fanno credere che la costruzione europea sia dovuta a loro (povero Spinelli) mentre fu concepita da De Gasperi, Adenauer e Schuman, contro la loro strenua opposizione, opposizione che perdurava ancora all’atto dei trattati di Roma, votati da centristi, monarchici e missini, a differenza dei socialcomunisti, ma si presentano lo stesso come i primi europeisti e liberali, molto liberali. È vero, a sinistra si sono concepite riforme della giustizia, che, in trent’anni, hanno profondamente alterato lo stato di diritto, eliminando molte delle garanzie poste a difesa del cittadino, modificandone il rapporto con le istituzioni fino ad un giustizialismo appena mascherato, che lo lascia privo di molti diritti per la gioia esclusiva delle tricoteuses, ma sono liberali, molto liberali. È vero, a sinistra pensano che quasi tutto debba essere vietato, tranne ciò che deve essere obbligatorio, ma sono liberali, molto liberali, liberalissimi.
Però, a questo punto è legittimo un preoccupato dubbio, ma sanno le anime belle della sinistra italiana (e non solo italiana) cosa vuol dire liberale? Credo proprio di no e mi permetto un esempio, certo estremo, ma molto chiaro. Se due naufraghi, su un’isola deserta, decidono di mangiarsi il terzo compagno, non sono nel loro buon diritto. Anche se hanno deciso a maggioranza.
Questo, sul piano dei princìpi, è il limite invalicabile dello Stato, dello Stato liberale, che tutela in ogni singolo individuo la persona. Uno Stato che ritenga di essere onnipotente, di essere legittimato a dare o negare la vita, a determinare la proprietà e a dettare lo stile, le opinioni e le scelte individuali, non è e non potrà mai essere liberale e finirà inevitabilmente per essere anche antidemocratico, perché l’abitudine al non rispetto delle minoranze, diviene, da parte di una classe dirigente autoreferenziale e convinta di possedere il vero, anche non accettazione della maggioranza, quando la ribellione popolare trasformi una minoranza prima esclusa in maggioranza. Che è quello che abbiamo sempre visto fare alle sinistre estreme, dall’Unione Sovietica al Venezuela, ma di cui non sono del tutto immuni neanche quelle moderate, se solo si guarda a come sono state aggressivamente contestate le vittorie conservatrici in America, Polonia o Ungheria, o a come da noi viene dipinta dall’establishment la Lega. Non posso non pensare con rimpianto a quello che François Marie Arouet sintetizzava: “io non approvo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo”, perché a questo si sono sempre ispirati i liberali storici. Quelli veri.