Intervista al Sen. Salvatore Margiotta*

Senatore Salvatore Margiotta, parlamentare dal 2006, oggi è Sottosegretario al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.  Dopo dieci mesi di governo, come valuta l’alleanza PD-5 Stelle?
È noto che si tratta di un’alleanza nata tra mille difficoltà e in maniera obbligata per impedire che il paese precipitasse verso le elezioni in un momento molto delicato, in piena sessione di bilancio. Una situazione che avrebbe rappresentato un elemento assai negativo per la nostra economia.
È del tutto evidente che questa sia un’alleanza tra forze contrapposte, profondamente diverse; una delle quali -in particolare- ha usato nei confronti dell’altra, e cioè del Pd, toni francamente inaccettabili. Noi ci siamo contrapposti sempre nell’ambito della civiltà, con rispetto delle minime regole di educazione oltre che di buona politica.  Ritengo che su alcuni aspetti permangono nel partito nostro alleato alcune rigidità di tipo ideologico, il no pregiudiziale sul MES ne rappresenta un esempio plastico, che, alcune volte, rendono complicato decidere in tempi rapidi ciò che sarebbe necessario e giusto per il Paese. C’è, poi, il tema delle elezioni regionali: è evidente che non vi possa essere alcun automatismo su scala nazionale o su scala regionale rispetto a un’eventuale alleanza. Tuttavia, se non si riesce neppure in una Regione a tessere un’alleanza su un nome e alcuni temi fondamentali, se non c’è la voglia di sperimentare la strada dello stare insieme, il quadro entro cui opera il governo si indebolisce inevitabilmente.

Sono evidenti le divergenze fra PD e 5 Stelle su temi fondamentali per lo sviluppo del Paese, quali: riforma della giustizia, utilizzo del MES, condono edilizio e non solo. L’elettorato è piuttosto confuso. L’unico che sembra guadagnarci da questa querelle è il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte con un consenso personale piuttosto elevato.
Certo lo dicevo già in precedenza. Su alcune questioni, per esempio sulle semplificazioni e gli appalti, sulle questioni edilizie, le semplificazioni urbanistiche, i punti di vista non sono sempre convergenti con il Pd che, su alcune di queste questioni, invoca e pretende, a mio avviso giustamente, maggiore rigore sui temi della trasparenza e della concorrenza, con un no deciso e non negoziabile ai condoni. Per quanto riguarda il consenso del Presidente Conte, ritengo sia sempre utile che il Capo di un Governo abbia un seguito personale forte perché questo dà maggiore incisività all’azione dell’esecutivo, tuttavia, tale consenso non deve mai andare a detrimento dei partiti che compongono la maggioranza che lo sostiene.  Il consenso dovrebbe crescere insieme altrimenti diventa inevitabile il determinarsi di un pericoloso corto circuito per la stabilità del governo. Bene, dunque, il favore nei confronti del premier ma esso non deve essere mai alternativo a quello delle forze che lo sostengono.

Ci si chiede se l’alleanza di governo PD – 5 Stelle non sia stata una mera forzatura voluta dall’UE e appoggiata dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, solo al fine di scongiurare le elezioni e bloccare l’ascesa di Matteo Salvini e ciò a dispetto di un programma di legislatura condiviso.
No, assolutamente. Questa è una lettura fuorviante e ingiusta, in particolare, nei confronti del nostro Presidente della Repubblica che, nel corso del suo mandato, ha sempre dimostrato un equilibrio e una saggezza straordinari. L’alleanza giallorossa nasce da un grave errore tattico e strategico di Salvini ma anche da un infortunio linguistico e politico che non ci si aspetta da un leader navigato come lui. Diciamo che l’estate al Papeete con la richiesta dei pieni poteri ha favorito un processo democratico legittimo e costituzionale che ha condotto alla nascita dell’attuale governo. Su questo bisogna essere chiari: non vi è stata alcuna forzatura; il Parlamento è sovrano. Se forzatura c’è stata è quella dell’ex Ministro dell’Interno che in modo del tutto ingenuo ha creduto che il risultato delle elezioni europee gli consentisse di chiedere uno scioglimento anticipato delle Camere, questa sì una richiesta incostituzionale. I partiti che hanno formato il governo lo hanno fatto per dare risposte economiche al Paese e per non lasciarlo in balia di una grave instabilità politica nella fase più delicata della vita dello Stato, quella della definizione della legge di bilancio. Lo dico con una convinzione sempre maggiore: col senno di poi, nonostante le differenze tra i partiti che compongono la maggioranza, è stato un bene. Pensare che Salvini e Meloni avrebbero potuto guidare il Paese nel corso di una pandemia mondiale, mi fa francamente rabbrividire. Sarebbe stato drammatico avere loro al governo nel corso della peggiore crisi sanitaria ed economica dal dopoguerra ad oggi. E lo dico con cognizione di causa, osservando il comportamento dei leader sovranisti in questi mesi, a partire da Trump e Bolsonaro che sono stati in grado solo di negare l’evidenza, mettendo a repentaglio la vita e la salute di milioni di cittadini. Un approccio vergognoso. A ciò si aggiunga l’atteggiamento dei nazionalisti italiani nei confronti dell’Europa: in una fase in cui, senza sostegno della BCE, senza la sospensione dei trattati, senza le risorse stanziate con le varie linee di credito, saremmo già al collasso, la loro pregiudiziale ostilità ci avrebbe condotto in una situazione ben peggiore di quella in cui ci troviamo, con una drammatica crisi sui mercati. In questo momento è fondamentale il consenso e il sostegno europeo per costruire le politiche indispensabili per uscire dalla crisi economica. Il governo Salvini-Meloni non sarebbe stato in grado in alcun modo di costruire questo percorso e francamente ritengo che qualsiasi persona razionale sappia che pensare di risolvere i problemi del Paese, ritornando alla liretta, sarebbe non solo demenziale ma tragico per il sistema Paese. In tal senso, mi pare che le difficoltà maggiori sulle grandi questioni politiche che dovremo affrontare nei prossimi mesi, non risiederanno nelle divergenze tra Pd e M5S ma in quelle tra i sovranisti e Berlusconi che, per fortuna, rivendica l’europeismo come via maestra per implementare efficaci politiche nazionali.

Alleanza PD-5 Stelle: la riproporrebbe alle prossime elezioni regionali?
Penso che sia un errore andare separati alle regionali mentre si governa insieme il Paese e, in tal senso, sono convinto che sarebbe servito un impegno maggiore per trovare un terreno di convergenza su cui ipotizzare programmi comuni. È chiaro che non può essere una riproposizione automatica dell’alleanza di governo ma è impensabile non avviare almeno dei laboratori a livello territoriale. A mio avviso il fatto che non si riesca a ricostruire un quadro politico è un elemento di debolezza per la coalizione e per il governo. Una debolezza che, a lungo termine, produce una profonda instabilità.

Giuseppe Conte ha rispolverato il progetto TAV Torino-Lione, osteggiato dai 5 Stelle e il Ponte sullo Stretto di Messina. Quale Sottosegretario alle Infrastrutture, cosa può dire?
Sul primo punto non c’è stato alcun “rispolvero”, per il semplice fatto che non c’è mai stato un vero stop anche grazie all’impegno del Pd che, dall’opposizione, ha condotto la sua battaglia. Per noi la Tav non è in discussione.  Per quanto riguarda il Ponte penso sia stato correttissimo da parte del nostro capo delegazione, Dario Franceschini, di Matteo Renzi, nella scorsa legislatura, e del presidente Conte oggi, riproporre il tema nell’attualità del dibattito pubblico. La mia personale idea da anni, anche quando ero il solo a sostenere questa battaglia nel Pd, è che il ponte vada fatto. Un grande opera di ingegneria come questa porta benefici al prodotto interno lordo ma ha anche profonde ed evidenti ricadute politiche: ogni generazione deve lasciare a quelle successive un segno, un’opera, un simbolo. Un grande Paese come il nostro deve necessariamente avere l’ambizione di realizzare grandi opere. Le imprese italiane lo fanno benissimo all’estero e, per questo, dobbiamo metterle nelle condizioni di farlo anche in Italia. Il beneficio di fare un’opera ardita, che unisce una regione alla parte continentale del Paese, avrebbe anche ricadute dal punto di vista psicologico, e ancora di più oggi, rappresenterebbe un gran colpo. Un segnale inequivocabile che ridarebbe fiducia al nostro Paese e lo riproporrebbe come all’avanguardia tecnologica nel mondo. Mi convincono assai poco le ragioni di chi dice che sia meglio fare opere idrauliche o di manutenzione viaria perché sono convinto che le une non escludano l’altra. Bisogna farle tutte e due. Bisogna pensare e guardare al futuro in grande. Con le risorse del Recovery Fund quello del Ponte diventa oggettivamente un progetto fattibile su cui, un grande Paese come il nostro, almeno apre un dibattito e una riflessione seria e non ideologica. A ciò si aggiunga che, grazie ai fondi europei, per i quali dovremo preparare un ambizioso e efficace programma di spesa, potremmo dare vita al progetto di un’Italia veloce. Si tratta di connettere il paese attraverso il ferro, con treni e ferrovie. Abbiamo già cominciato finanziando nel decreto Rilancio che sta per essere approvato dalla Camera, il progetto di AV longitudinale, Salerno-Reggio Calabria e quello trasversale Taranto-Metaponto-Potenza-Battipaglia. A mio avviso il ponte sarebbe il completamento dello schema per connettere le opere di alta velocità già finanziate. Ha detto bene il Ministro Franceschini, quando ha dichiarato che se vogliamo portare l’alta velocità in Sicilia da qualche parte dovremmo passare!

Il governo annuncia un piano straordinario di investimenti in opere pubbliche per una significativa ripartenza del Paese. Ad oggi non sembra intravedersi una chiara pianificazione, né peraltro ci sono fondi disponibili, considerato che quelli previsti a vario titolo dall’UE potrebbero arrivare solo nel 2021.
Non è così. C’è un errore di comunicazione rispetto a questo tema perché il documento dell’allegato infrastrutture al DEF, approvato nell’ultimo Cdm, è un testo in cui la pianificazione c’è eccome e ha a che vedere con un grande piano di mobilità sostenibile ed ecocompatibile basata sul ferro. Se questo progetto chiaro e definito non è emerso, evidentemente, è una pecca che afferisce la comunicazione. Tuttavia, la nostra visione emergerà con chiarezza in queste ore grazie al via libera al decreto semplificazioni. Ci sarà in primo luogo un elenco delle opere prioritarie che potranno avere decorso veloce anche attraverso la nomina dei commissari. Ricordo che il Recovery Fund dovrebbe prevedere quasi 70 miliardi da spendere nel settore. A questi vanno aggiunti i 130 mld disponibili negli esercizi finanziari dell’ultimo decennio e che non sono stati ancora spesi. Quando si parla di un piano da 200 miliardi, dunque, non si dice un numero a caso ma fondato su finanziarie precedenti e sui 63,38 miliardi previsti dal Recovery. Per far ripartire l’Italia non dobbiamo aspettare i fondi europei perché ne abbiamo in pancia altri. Oggi il tema dirimente è di poterli utilizzare immediatamente, già dai prossimi giorni, grazie alle procedure semplificate introdotte con l’ultimo decreto. 

Riforma del codice degli appalti, diffusione del cosiddetto Modello Genova, nomina di commissari straordinari, gare abolite per l’affidamento di lavori di minore impegno economico. Qual’è la sua posizione?
La mia posizione è quella del testo licenziato dal CdM. Deve essere chiaro a tutti come il “modello Genova” non sia riproponibile ovunque ma solo in un limitato numero di casi. In tal senso, il decreto prevede affidamenti diretti per importi bassi fino 150 mila euro; inoltre, la procedura negoziata, con numeri differenziati di imprese in base agli importi dei lavori fino a 5 milioni di euro, mi pare un giusto punto di equilibrio. Mentre per le grandi opere, le gare si devono fare senza se e senza ma, rispettando due principi inderogabili che sono quelli della trasparenza e della competitività. Ciò non toglie che per alcune specifiche gare l’aggiudicazione veloce vada bene, tuttavia, è del tutto evidente che si tratta di una procedura che non può essere generalizzata. Ribadisco anche in questa occasione quel che ho detto più volte: non sono le procedure di aggiudicazione l’elemento principale di rallentamento nella realizzazione di un’opera. Ciò che conta è la velocità con cui si procede prima della gara, nel passaggio dalla programmazione alla progettazione ed alla approvazione dei progetti e poi, dopo l’aggiudicazione, agendo sulle pastoie burocratiche che rallentano la realizzazione. In tal senso, siamo intervenuti sul blocco della firma, sul danno erariale, sui tempi di ottenimento della valutazione di impatto ambientale, sulla effettiva unicità e univocità della conferenza dei servizi. 
Mi pare importante sottolineare, ancora una volta, che il decreto semplificazioni va letto insieme all’allegato infrastrutture al DEF, all’elaborato “Italia Veloce” che contiene le opere prioritarie e al piano nazionale di riforma in via di definizione. Un pacchetto che va visto in un’ottica unitaria e che segna l’inizio di un processo di riforma attraverso il quale ci verranno assegnati i fondi del Recovery. 

C’è davvero un problema Renzi all’interno del PD, o è una situazione gestibile eventualmente lasciando spazio per qualche poltrona?
Non esiste alcun problema Renzi all’interno del Pd, semplicemente perché Renzi non fa più parte del Pd. E dico purtroppo. Mantengo la stima per la sua azione di uomo intelligente e di visione, e per questo mi addolora che abbia lasciato il partito. La sua permanenza, infatti, avrebbe rafforzato la sua posizione ma anche quella del Pd che deve sempre spingere il profilo riformista che è carattere fondamentale della sua identità politica e culturale.

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(*) Intervista rilasciata il 7 luglio 2020.

Roberto Serrentino

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