Risposta del direttore all’A.P.I.

Preg.mo Presidente, Spett.le A.P.I.,
pubblico volentieri la lettera ricevuta.

I fatti, come obbiettivamente rappresentati, mostrano un’inquietudine e uno sconforto, che travalicano i confini isolani per porsi all’attenzione di tutti gli italiani.

Il numero dei giudici inquisiti o condannati e le commistioni, ovvero le lotte di potere tra politici e togati e fra i togati stessi appartenenti alle diverse correnti, credo di poter dire, senza timore di smentita, che abbiano fatto toccare alla nostra magistratura uno dei più bassi indici di credibilità dalla nascita della Repubblica Italiana.

La cronaca giudiziaria ha mostrato come molte istituzioni siano state interessate da fatti di rilevanza penale commessi dai propri rappresentanti. Tuttavia, se ce n’è una, che mi piace definire l’istituzione principe, all’interno della quale corruzione, favoritismi e carrierismo generano maggior clamore e sconcerto, è proprio la magistratura.

Siamo stati educati, anche nella memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, a porre la massima fiducia nel “giudice”, quale figura che nell’immaginario collettivo, e non solo, manifesta e trasfonde rigore, imparzialità e autorevolezza nell’esercizio delle proprie funzioni. Oggi, purtroppo, tutto questo è venuto a mancare, ma è venuto meno per colpa di quella ristretta parte di corrotti che Nicola Gratteri, capo della DNA di Catanzaro, ha indicato in non più del 6-7% dell’intera magistratura.

Ciò vorrebbe dire, a complemento, che il 93-94% dei 9.400 magistrati (dato aggiornato al 28 febbraio 2019 e reso pubblico da un rapporto del Consiglio Superiore della Magistratura) sono persone oneste. Sarò stato anche fortunato, ma nella mia vita professionale ho avuto modo di conoscere molti magistrati delle diverse giurisdizioni, civile, penale, amministrativa, contabile e tributaria, che mi onorano della loro stima ed amicizia e dei quali nel tempo ho riscontrato l’onestà intellettuale, la trasparenza di operato e l’assenza di protagonismi.

Quindi, cari amici dell’A.P.I., l’invito è a non perdere la speranza, continuare a combattere il malaffare, contribuire a far crescere la cultura della legalità e soprattutto ad avere fiducia nella giustizia. Non saranno alcune figure deplorevoli a minare la credibilità di un’istituzione come la magistratura, ricca dei tanti Pignatone, Di Matteo, Gratteri, Cafiero De Raho, che, in maniera seria e silente, hanno esercitato ed esercitano la propria funzione nel pieno rispetto del mandato costituzionale, della deontologia di cui alla carica e con l’autorevolezza e l’imparzialità, che i cittadini hanno il diritto di pretendere.

E quando finalmente si addiverrà ad una riforma della giustizia civile e principalmente penale, ivi inclusa la modalità di nomina dei componenti il CSM, potremo dire di aver fatto un importante passo avanti, affinché il cancro dei giudici politicizzati, carrieristi e di parte, venga finalmente estirpato.

Roberto Serrentino

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