Il 5 maggio scorso la Corte costituzionale tedesca si è pronunciata sul programma di acquisto di titoli del debito pubblico noto come Quantitative Easing (Qe) messo in campo dalla BCE a partire dal marzo 2015 per immettere liquidità nell’eurozona e scongiurare il rischio deflativo.
La Corte tedesca, pur ritenendo di non avere elementi per affermare che la BCE abbia violato il divieto di finanziamento diretto del debito pubblico dei Paesi dell’Unione monetaria (Art. 123 TFUE), ha assegnato tre mesi di tempo all’istituto di Francoforte per fornire chiarimenti, e in particolare per dimostrare che gli obiettivi di politica monetaria perseguiti dal Qe sono proporzionati agli effetti di politica economica che ne conseguono. Ove tali chiarimenti non giungessero, o fossero ritenuti insoddisfacenti, la Bundesbank, in base al dictum della Corte, dovrebbe revocare la propria partecipazione al programma di acquisto di titoli e dismettere sul mercato le obbligazioni “illegittimamente acquisite” e detenute in portafoglio, con effetti potenzialmente destabilizzanti sui mercati finanziari. Le condizioni imposte dalla Corte tedesca al Qe, infatti, potrebbero limitare l’attività della BCE e minare l’efficacia dei nuovi programmi di acquisto, a partire da quelli ideati per fronteggiare la pandemia. Si aggiunga che la contestazione in chiave costituzionale dell’operato della BCE potrebbe suscitare effetti emulativi e avviare un processo di disgregazione dell’Unione monetaria.
Oltre che per le proprie conseguenze economico-finanziarie, la pronuncia ha suscitato reazioni vibranti in sede politica e nella comunità accademica anche per la minaccia che oggettivamente reca alla legittimazione della Corte di giustizia e, più in generale al primato del diritto dell’Unione europea sulla normativa nazionale. Va ricordato, infatti, che sui diversi programmi di acquisto titoli della BCE i giudici di Lussemburgo si sono pronunciati nel 2016 e nel 2018 con le sentenze OMT e Weiss – entrambe conseguenti a rinvii pregiudiziali della Corte tedesca – in cui hanno attestato la piena compatibilità dell’azione della BCE con il proprio mandato. Nonostante la competenza ad interpretare in via ultimale il diritto dell’Unione spetti alla Corte di giustizia, i giudici tedeschi hanno dichiarato, con toni di inedita assertività, che questa, interpretando i Trattati in modo “oggettivamente arbitrario” (objektiv willkuerlich), ha esondato dai propri poteri, sicché la pronuncia, resa ultra vires, è priva di efficacia nell’ordinamento tedesco. Il Presidente della Corte Andreas Voßkuhle, il cui mandato è terminato il 6 maggio, ha dichiarato che la sentenza è positiva per l’Europa perché rafforza lo stato di diritto e contribuisce al dialogo tra Germania e Unione. Non sembra essere questa, tuttavia, la percezione dominante.
La BCE, nel ribadire di aver sempre agito nell’ambito del suo mandato, ha dichiarato – non senza una venatura polemica – di restare comunque impegnata a fare “everything necessary” (traslitterazione del celebre “whatever it takes” di Draghi) per assicurare stabilità e crescita dell’eurozona. La Corte di Giustizia ha posto in rilievo che eventuali divergenze tra i giudici degli Stati membri in merito alla validità degli atti dell’Unione europea potrebbero compromettere l’unità dell’ordinamento giuridico dell’Unione e pregiudicare la certezza del diritto. La Commissione ha riaffermato il primato del diritto dell’Unione europea e ribadito il carattere vincolante delle sentenze della Corte di giustizia nei confronti di tutti i tribunali degli Stati membri, ventilando l’ipotesi di avviare una formale procedura di infrazione nei confronti della Germania.
Quanto basta per concludere che la “ribellione” alla Corte di giustizia collochi la Corte tedesca sul fronte più avanzato della polemica antieuropea ed esponga in prospettiva l’ordine giuridico dell’Unione ad ulteriori attacchi. Suona preoccupante, al riguardo, il plauso che la sentenza ha immediatamente ricevuto in Polonia e Ungheria, che potrebbero strumentalmente poggiare sull’autorevolezza della Corte tedesca per contestare i provvedimenti adottati dall’Unione nei loro confronti per il mancato rispetto del Rule of Law e degli equilibri democratici. Lo scontro tra istituzioni europee e Corti costituzionali sembra essere solo all’inizio, e il MES “light”, su cui faticosamente si è ricomposto un accordo politico, potrebbe esserne la prima vittima.