Hanno detto… sul numero 18, giugno 2020 • anno 2

Safia Taleb Al-Souhail
L’Italia è il secondo Paese per numero di addestratori militari, contribuendo a sostenere le nostre Forze di Sicurezza irachene nel campo dell’addestramento attraverso la task force dei Carabinieri nella formazione, nei diversi campi, del personale militare locale cui è affidata la gestione delle aree liberate.
L’Iraq ha, inoltre, contributo in maniera efficace alla pace e alla sicurezza internazionale, cooperando in materia di sicurezza e intelligence e fornendo alla Comunità Internazionale e ad alcuni Paesi europei, tra cui l’Italia, precise informazioni di intelligence sui movimenti delle reti terroristiche internazionali nel mondo.
Ultimo, ma non da ultimo: l’aiuto fondamentale dell’Italia, nell’ambito del sostegno internazionale, per l’inserimento dell’Ahwar iracheno e del sito della città sumera di Eridu nella lista del patrimonio mondiale UNESCO.
Le relazioni vanno estendendosi e le loro prospettive sono enormi.
Vi è una tendenza positiva alla svolta, una direzione che fa ben sperare in un futuro promettente: cosa che rende l’importanza di valutare questi sviluppi positivi una necessità, perché si possano gettare le basi per più ampi rapporti di partenariato, data l’atmosfera positiva inaugurata dal nuovo governo a Baghdad, guidato dal neo-Primo Ministro Mustafa Al-Kadhimi.

Tommaso Miele
L’esercizio della funzione giurisdizionale deve tendere solo all’accertamento della verità e alla affermazione della giustizia. E soprattutto, essa, al pari di ogni altra funzione, non deve mai diventare “potere”. Molti ritengono che l’esercizio della nostra funzione rappresenti un potere, ma non è così. Il corretto esercizio della funzione è neutro, la funzione è neutra. Essa diventa “potere” quando se ne abusa e la si deforma, quando la si indirizza a fini diversi da quelli previsti dalla Costituzione e dalla legge.
Nondimeno il giudicare deve diventare “mestiere”, abitudine, fredda applicazione della legge, come se il giudice fosse un computer: il giudice è sì soggetto solo alla legge, ma deve essere umano, si deve sempre, e ogni volta, far carico del caso specifico e del fatto che la questione su cui è chiamato a giudicare, anche se per lui è abitudinaria, assume per l’imputato, o per le parti nel giudizio civile, o per il convenuto nel giudizio innanzi alla Corte dei conti, una valenza e una importanza vitale. Egli deve sforzarsi con la sua coscienza, con il suo equilibrio, con la sua saggezza, di far coincidere la legge con la giustizia. E non deve dimenticare che dietro le carte di un processo, dietro ad un fascicolo, ci sono persone – e famiglie – che soffrono “la pena del processo”, soprattutto se innocenti.

Gino Scaccia
La Corte di Giustizia ha posto in rilievo che eventuali divergenze tra i giudici degli Stati membri in merito alla validità degli atti dell’Unione europea potrebbero compromettere l’unità dell’ordinamento giuridico dell’Unione e pregiudicare la certezza del diritto. La Commissione ha riaffermato il primato del diritto dell’Unione europea e ribadito il carattere vincolante delle sentenze della Corte di giustizia nei confronti di tutti i tribunali degli Stati membri, ventilando l’ipotesi di avviare una formale procedura di infrazione nei confronti della Germania.
Quanto basta per concludere che la “ribellione” alla Corte di giustizia collochi la Corte tedesca sul fronte più avanzato della polemica antieuropea ed esponga in prospettiva l’ordine giuridico dell’Unione ad ulteriori attacchi. Suona preoccupante, al riguardo, il plauso che la sentenza ha immediatamente ricevuto in Polonia e Ungheria, che potrebbero strumentalmente poggiare sull’autorevolezza della Corte tedesca per contestare i provvedimenti adottati dall’Unione nei loro confronti per il mancato rispetto del Rule of Law e degli equilibri democratici.

Federico Tedeschini
Il legislatore aveva talmente poca fiducia nell’apparato costituito dal plesso organizzativo Protezione civile-Comitato tecnico scientifico che ha stabilito di sottrarne provvedimenti al diritto di accesso agli atti e i documenti che rappresenta ormai, per chi ne riceva pregiudizio, il punto di partenza di ogni ricorso finalizzato a far cessare comportamenti amministrativi idonei ad infliggere un danno risarcibile a chi ne subisce le conseguenze.
Sarebbe fin troppo facile, a questo punto convenire con quelli che ritengono la semplificazione amministrativa come la parola d’ordine per rimediare a tutto questo, ma a mio avviso la possibile soluzione del problema è ancora a monte e si trova nella sottoscrizione di un nuovo patto costituente che ponga le libertà fondamentali indicate nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo come base per avviare un diverso disegno dei poteri pubblici, di cui gli apparati amministrativi sono semplicemente il punto di affioramento.
La coalizione politica che comprenderà la necessità e l’importanza di proporre tale patto come base del suo programma elettorale potrebbe avere, alle prossime elezioni politiche, un successo sorprendente.

Associazione API Presente
Non vi è dubbio  che i soggetti protagonisti di queste pagine oscure della giustizia, aldilà delle risultanze processuali, hanno la responsabilità di alimentare ulteriormente quel corto circuito istituzionale già iniziato nei primi anni ‘90, e che vedono  tuttora i due organi costituzionali dello Stato in conflitto. Tali situazioni e altre similari, alla lunga rischiano di minare le fondamenta della tenuta democratica di un paese perché ne distorcono il meccanismo di base, ovvero la fiducia dei cittadini verso le istituzioni.
Ci poniamo una domanda: a quale istituzione  dobbiamo affidarci  perché sia realmente trasparente, indipendente ed autorevole, perché percepita anche come tale, così da poter combattere fino in fondo e con successo la mafia, senza essere risucchiata e coinvolta nel coacervo delle lotte di potere?
Confidiamo che prima o poi si intraveda una luce all’orizzonte e, in attesa, una cosa sarebbe giusto fare, la modica costituzionale dell’articolo 3, che potrebbe così recitare: “la legge è uguale per tutti, anche se non tutti siamo uguali davanti alla legge”.

Risposta del direttore all’A.P.I.
Il numero dei giudici inquisiti o condannati e le commistioni, ovvero le lotte di potere tra politici e togati e fra i togati stessi appartenenti alle diverse correnti, credo di poter dire, senza timore di smentita, che abbiano fatto toccare alla nostra magistratura uno dei più bassi indici di credibilità dalla nascita della Repubblica Italiana.
L’invito è a non perdere la speranza, continuare a combattere il malaffare, contribuire a far crescere la cultura della legalità e soprattutto ad avere fiducia nella giustizia. Non saranno alcune figure deplorevoli a minare la credibilità di un’istituzione come la magistratura, ricca dei tanti Pignatone, Di Matteo, Gratteri, Cafiero De Raho, che, in maniera seria e silente, hanno esercitato ed esercitano la propria funzione nel pieno rispetto del mandato costituzionale, della deontologia di cui alla carica e con l’autorevolezza e l’imparzialità, che i cittadini hanno il diritto di pretendere.
E quando finalmente si addiverrà ad una riforma della giustizia civile e principalmente penale, ivi inclusa la modalità di nomina dei componenti il CSM, potremo dire di aver fatto un importante passo avanti, affinché il cancro dei giudici politicizzati, carrieristi e di parte, venga finalmente estirpato.

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