Hanno detto… sul numero 17, maggio 2020 • anno 2

Roberto Serrentino
Il Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte nella sua apparizione televisiva del 26 aprile ha detto che le chiese non apriranno né dopo il primo step (4 maggio), né dopo il secondo (18 maggio). Invece, dal 18 maggio apriranno musei, mostre ed eventi culturali.
Neanche il tempo di queste comunicazioni e la CEI (Conferenza Episcopale Italiana) è uscita con un documento di eccezionale impatto “Il disaccordo dei Vescovi – DPCM, la posizione della CEI”, per stigmatizzare l’impossibilità di acconsentire e accettare tale ingerenza.
Finanche la potente UCID (Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti) è scesa in campo, condividendo la posizione della CEI.
Non si tiene conto che i fedeli hanno bisogno anche di nutrirsi di fede, di speranza, di quel sovrannaturale, che aiuta ad affrontare e superare le disgrazie terrene.
Che senso ha dire che non bisogna perdere la speranza, che andrà tutto bene, quando viene vietato quanto di più bello e profondo ci sia, come la messa, che dà forza e linfa al credente?
Ciò che è avvenuto è un chiaro abuso di potere da parte del governo e lo stesso Prof. Sabino Cassese è intervenuto sottolineando le violazioni del diritto ecclesiastico. Ma esse sono soprattutto violazioni di principi fondamentali di civiltà, di convivenza, di rispetto delle libertà individuali e religiose.

Francesco Azzarello
Il Brasile è un interlocutore strategico dell’Italia. Gli italo-brasiliani sono stimati in circa 30 milioni, la più grande collettività al mondo.
Dall’inizio dell’emergenza sanitaria l’Ambasciata ed i Consolati si sono dedicati anima e corpo all’assistenza di quei connazionali, residenti in Italia, temporaneamente presenti, e sparpagliati, sull’immenso territorio brasiliano, che volevano rientrare. Sono state affrontate le situazioni più diverse, spesso difficili, come il reperimento e la spedizione di materiali strategici sanitari per l’Italia ed avventurosi recuperi ai confini con Bolivia e Perù; rimpatri di decine di studenti minorenni; navi in quarantena, con equipaggi e turisti da dover poi cercare di far ripartire; decessi; cancellazioni di tutte le tratte aeree dirette con l’Italia e gran parte dei collegamenti con l’Europa; adozioni in corso; risposte a richieste di aiuto di vario genere dall’Italia; lamentele (infondate) di qualche connazionale, con pretese che potremmo definire elegantemente “stravaganti”; l’organizzazione di voli speciali di rientro. La Rete diplomatico-consolare italiana in Brasile ha dimostrato solidità e professionalità, con encomiabile spirito di abnegazione.

Massimiliano Atelli
Prima che il coronavirus irrompesse nelle nostre vite, l’espressione “economia circolare” aveva assunto un significato piuttosto consolidato, indicativo di un nuovo modello economico all’insegna della sostenibilità ambientale.
Nel quadro dei prevedibili effetti economici della pandemia, che il governo sta cercando di contrastare con provvedimenti mobilitanti crescenti risorse, andrà pertanto considerato con grande attenzione l’impatto su questo settore. Nel farlo, si creerà l’opportunità di ripensare il concetto stesso di “circolarità”, che a questo punto probabilmente si propone per il salto di qualità, ulteriore, da aggettivazione a sostantivo. Non più solo economia circolare, settorialmente, ma piuttosto circolarità economica, in senso totale. Circolarità non è riducibile, banalmente, a circolazione. È, al contrario, una dinamica nuova, di movimento delinearizzato e destinato all’opposto a svilupparsi all’interno di un circuito definito (sia esso un processo produttivo o una conversazione durevole a distanza fra due o più persone), il cui punto gravitazionale è spostato su cose (economia circolare) e su atti e/o comportamenti (informazioni, documenti, dichiarazioni, decisioni, silenzi, altro).

Luigi Ciampoli
La legge n. 3 del 09/01/2019, equiparando la corruzione ed altri reati contro la pubblica amministrazione a quelli di mafia, terrorismo, droga ha di conseguenza inteso accomunare anche il trattamento sanzionatorio all’impossibilità di applicare misure alternative alla detenzione.
In particolare, la Corte è stata sollecitata a pronunciarsi, in mancanza di specifica disposizione normativa, sulla legittimità costituzionale dell’art. 1, comma, 6°, lettera b, in quanto interpretato nel senso che la modifica, introdotta nell’art. 4 bis, comma 1° della legge 26 luglio 1975, n. 354, in tema di esecuzione delle misure di privazione e limitazione della libertà personale ed il diniego del permesso premio, si riferisca anche ai condannati che abbiamo commesso il fatto antecedentemente all’entrata in vigore della legge n. 3/2019.
Secondo la Corte, le pene detentive possono ricondursi alla legge in vigore al momento della loro esecuzione e non al tempo del commesso reato.
Rilevante appare sul punto la conseguente precisazione della Corte, secondo cui il divieto di applicazione retroattiva delle pene, non previste al momento del fatto, “opera come uno dei limiti al legittimo esercizio del potere politico, fondamentale per il concetto di stato di diritto”. Interpretazioni evolutive, orientate a seguire direttamente impulsi, emozioni, reazioni piuttosto suggerite dalla moda, non sorrette da meditate ed esplicite previsioni del legislatore, comportano il pericolo di un vero e proprio abuso del diritto.
Un vecchio motto saggiamente ammonisce: “la bontà di una legge si misura non dal rigore che esprime, ma dalla saggezza di chi la applica!”.

Paolo Lembo
Il motivo fondamentale della nascita dell’ONU fu molto specifico: evitare il rischio di un nuovo conflitto internazionale.
Con il tempo le Nazioni Unite hanno assunto una funzione più complessa. La sua struttura però non si è evoluta in modo proporzionale alle metamorfosi del contesto internazionale.
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La stessa esistenza delle Nazioni Unite dipende dalla sua capacità non più solamente di riformare se stessa, ma di rifondarsi strutturalmente, a cominciare dalla compromessa credibilità del Consiglio di Sicurezza. Nessuno dei cinque paesi detentori di potere permanente di veto in Consiglio di Sicurezza ha sino ad ora accettato di rinunciare al proprio ruolo privilegiato. È quindi improbabile che nel prossimo futuro si assista ad un genuino negoziato sulla riforma del Consiglio. È più plausibile immaginare che una discussione sulle riforme si concentri inizialmente sull’Assemblea Generale.
“L’ONU non è stata creata per accompagnare l’uomo in paradiso ma per salvarlo dall’inferno”, Dag Hammarskjiold disse in uno dei suoi più celebri discorsi all’Assemblea Generale. Forse l’attuale crisi pandemica potrebbe finalmente costringerci ad accettare che le grandi sfide che abbiamo di fronte non riconosceranno frontiere nazionali. Potremmo finalmente liberarci di banali interpretazioni, che riducono alla globalizzazione la causa di tutti i mali contemporanei.

Alessandro Cassinis
La creazione di strumenti di debito comune dovrebbe essere accettata, ma direi, guidata dalla Germania, non sulla base di calcoli ragionieristici (è evidente infatti che alla Germania la mutualizzazione del debito non convenga, perché si può finanziare a tassi bassissimi senza dover ricorrere a uno strumento garantito dagli altri Stati), né del principio della solidarietà, bensì sulla base del fatto che tale strumento rappresenterebbe un importantissimo passo nella costruzione di un’Unione Europea quale soggetto politico internazionale capace di ergersi a baluardo di quei valori che ne costituiscono la ragione d’essere.
Certamente non sarebbe sufficiente la creazione degli eurobond a fare dell’Unione Europea un soggetto politico compiuto.
Sarebbe necessario rivedere i trattati, processo che sappiamo essere lungo, tortuoso e dagli esiti incerti e che richiede innanzitutto un’opera di promozione delle riforme proposte presso le opinioni pubbliche dei singoli Paesi.
Oggi la classe politica europea ha l’opportunità di essere all’altezza degli statisti che, nel dopoguerra, hanno posto le basi per un progetto politico ambizioso che ponesse fine alle guerre ed accrescesse il benessere dei suoi cittadini. Se ciò non accadrà, non solo ci attende un futuro ancora più difficile di quanto già non sia, ma l’Europa avrà definitivamente perso la sua anima, come ha più volte ricordato Papa Francesco in passato.

Mario Picozza
L’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) pubblica, con scadenza quasi giornaliera, la lista dei vaccini candidati contro COVID-19. L’elenco include, finora, un centinaio di ricerche in sperimentazione preclinica e ben otto studi clinici su volontari già in corso. Due di questi utilizzano vettori virali per introdurre l’antigene. Uno è della CanSino Biological cinese; l’altro è prodotto in partnership dall’Istituto Jenner dell’Università di Oxford e dalla Advent, una biotech con laboratori in Italia, i cui primi risultati su mille partecipanti sono attesi per questo mese di maggio.
Sono molteplici i fattori che determinano un certo grado di aleatorietà sia sui tempi sia sul successo di questa corsa al vaccino. L’impossibilità di prevedere i livelli di efficacia e di sicurezza di un preparato sperimentale prima di attenti studi clinici è infatti dirimente e la sperimentazione sull’uomo potrebbe subire rallentamenti o battute di arresto proprio a causa delle misure non farmacologiche messe in atto.
Sono tantissimi i vaccini oggetto di studio contro il nuovo coronavirus e l’ampiezza della ricerca accresce le chances di successo. Quel che sembrava impossibile fino a qualche anno fa, proprio grazie alla scienza, previdente, coraggiosa e paziente insieme, combinata con sforzi collaborativi senza precedenti, potrebbe divenire realtà, tanto che qualcuno confida, se tutto filerà liscio, che entro Natale avremo il vaccino come regalo sotto l’albero.

Ugo Utopia
Si vocifera di blitz sui conti bancari alleggeriti dal fisco (governo Amato 1992, docet), di un’aliquota fissa sui patrimoni immobiliari, o di un acquisto coatto di titoli di Stato commisurato al reddito dichiarato dai singoli contribuenti.
Daniel Stelter in un suo articolo pubblicato su Manager Magazine, mensile tedesco di economia, ha ipotizzato una (discutibile) patrimoniale del 14% sulla ricchezza degli italiani, quale cura a tutti i mali finanziari e di indebitamento del nostro Paese.
Il presupposto muove dall’essere la nostra ricchezza alquanto cospicua, per cui utilizzabile, quale emblematico e sostanziale sacrificio collettivo, per una ponderosa iniezione di liquidità nelle casse dello Stato.
La Banca d’Italia ci fornisce alcune indicazioni, sottolineando come nel 2018 la ricchezza degli italiani sia risultata superiore ai 10 mila milioni di euro, per cui saremmo anche più ricchi dei tedeschi.
La ricchezza degli italiani va difesa e tutelata.
Non si può chiedere ad un popolo formica di cambiare la propria natura, perché la cicala non è stata in grado di amministrare al meglio i propri beni accumulando debiti.

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Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
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