Chiesa e Stato.
La messa oggetto del contendere

Il Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte nella sua apparizione televisiva del 26 aprile si è di certo ispirato a Tomasi di Lampedusa per comunicare agli italiani novità, già note, non indicando quali siano metodi e strategie che il governo intende adottare (ammesso che ne abbia) per affrontare le profonde criticità economiche e sociali conseguenti al Covid-19. Una cosa però l’ha detta, ma l’ha detta senza citazioni, né conferme, né smentite: le chiese non apriranno né dopo il primo step (4 maggio), né dopo il secondo (18 maggio). Invece, dal 18 maggio – e questo Conte l’ha sottolineato in maniera molto chiara – apriranno musei, mostre ed eventi culturali.
Abbiamo così assistito a quanto di più pericoloso ci possa essere, ovvero la prevaricazione, senza mezzi termini, di uno Stato su un altro Stato.
Neanche il tempo di queste comunicazioni e la CEI (Conferenza Episcopale Italiana) è uscita con un documento di eccezionale impatto “Il disaccordo dei Vescovi – DPCM, la posizione della CEI”*, per stigmatizzare l’impossibilità di acconsentire a tale ingerenza; in pratica, dopo settimane di colloqui intercorsi con la CEI, il governo ha “escluso arbitrariamente la possibilità di celebrare la Messa con il popolo”.

Il governo si trincera dietro i consigli del Comitato tecnico-scientifico, ma da chi è composto questo consesso illuminato? Come fanno uomini e donne, scelti per la loro elevatura (verrebbe da dire non spirituale), a non comprendere il bisogno dell’apporto della messa per i credenti e il conforto della funzione religiosa in un frangente pandemico?

Non c’è e non c’è stata nessuna intesa cordiale tra CEI e governo, quanto, piuttosto, l’ennesima mistificazione per giustificare l’intromissione e la prepotenza a danno di una Chiesa prona di fronte a tanto assolutismo laico.
Quella del governo è stata una decisione premeditata, ancora più stridente considerata la riapertura consentita di musei e mostre, come se lì fosse più facile, che in un luogo di culto, regolamentare gli ingressi ed evitare assembramenti.
I vescovi si sono ribellati con determinazione e nei modi civili che gli sono propri, almeno finché la pazienza li accompagnerà. Non mi stupirei se dopo operai, avvocati, aeroportuali, giornalisti, magistrati, anche i vescovi e i sacerdoti scendessero in piazza, rivendicando il rispetto per il magistero che esercitano, da parte di uno Stato che non rispetta i Patti.

E, comunque, a fronte di tanta reazione della CEI, ha fatto seguito un laconico comunicato: “la Presidenza del Consiglio prende atto della comunicazione della CEI. Nei prossimi giorni protocolli per messe”.
Parigi val bene una messa”, disse nel 1593 Enrico IV, che pur di regnare in Francia si convertì al cattolicesimo e di questa massima il Presidente Conte dovrebbe far tesoro, se ambisce ad un futuro in politica a capo di un partito cattolico, come qualcuno sostiene.

Che dire poi dei carabinieri che irrompono nel pieno di una messa nella chiesa di San Pietro Apostolo a Gallignano (Cremona) per chiedere l’interruzione della funzione, nonostante la presenza di soli quindici fedeli, peraltro ben distanti fra loro? Un evento di gravità inaudita, che ha fatto il giro del mondo!
Assistiamo a un attacco senza precedenti alla Chiesa, le sue fondamenta e i suoi principi, che per secoli l’hanno tenuta saldamente in piedi, a dispetto di invasioni, guerre, pestilenze, eresie, intrighi di palazzo, finanche scandali.

Ma cosa ne pensa Papa Francesco? La sua posizione è quella della CEI?

Il Pontefice, all’indomani del casus belli, è così intervenuto: “Preghiamo il Signore perché dia al suo popolo la grazia della prudenza e dell’obbedienza alle disposizioni perché la pandemia non torni”, venendo di fatto a smentire e delegittimare la stessa CEI.

Nessuno obietta più che Papa Francesco abbia simpatie per questo governo. È stato definito il Papa comunista e sostenuto un suo avvicinamento alla Cina. È del 22 settembre 2018 la storica firma a Pechino fra Santa Sede e governo cinese dell’“Accordo provvisorio per la nomina dei vescovi”, quando pochi mesi dopo, nel marzo 2019, il governo italiano (unico fra i Paesi del G7) sigla un memorandum di intenti economici con il governo cinese, meglio conosciuto come “La Nuova via della Seta”.

Ma è forse lui il convitato di pietra, la quinta colonna di questo fronte sempre più ostile ad una Chiesa tradizionalista, arroccata al suo credo e ai suoi dogmi, tutt’altro che disponibile ad aperture sociali e laiche?

Personalmente non lo credo, ma di certo oggi la Chiesa vive fin troppi conflitti interni difficili da decifrare.
Finanche la potente UCID nasionale (Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti) è scesa in campo, condividendo la posizione della CEI: “Partecipare a una celebrazione liturgica, non può essere considerata alla stessa stregua di un qualsiasi incontro di persone con diversi obiettivi e interessi. Come imprenditori e dirigenti (…) e come credenti in Cristo, ci sentiamo privati di una possibilità che la nostra coscienza pone in primo piano.”.

Per non parlare poi del cardinale Gerhard Müller, già Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, che in un’intervista ha così tuonato: “La sospensione delle Messe con popolo è una abdicazione al proprio compito, è la riduzione della Chiesa alle dipendenze dello Stato. È inaccettabile. (…) Il nostro pastore supremo è Gesù Cristo, non è Giuseppe Conte”.

La CEI comunque non si è piegata, non ha taciuto di fronte al richiamo di Papa Francesco e il siciliano Monsignor Nino Raspanti, Vicepresidente CEI, in un’intervista ha rincarato la dose: “Va bene la cultura, vanno bene le librerie, i musei, ma c’è la religione e c’è bisogno di maggiore attenzione (…) C’è una vita per noi che crediamo, che è la vita dell’anima, la vita eterna, che vale più del corpo”.

Non si tiene nella dovuta considerazione la dimensione spirituale della persona umana.

Non si tiene conto che i fedeli hanno bisogno anche di nutrirsi di fede, di speranza, di quel sovrannaturale, che aiuta ad affrontare e superare le disgrazie terrene.

La speranza, spesso evocata dai politici di governo, non è forse elemento fondante quella spiritualità dei cattolici che si alimenta anche con la messa?
Che senso ha dire che non bisogna perdere la speranza, che andrà tutto bene, quando viene vietato quanto di più bello e profondo ci sia, come la messa, che dà forza e linfa al credente?
Ciò che è avvenuto è un chiaro abuso di potere da parte del governo e lo stesso Prof. Sabino Cassese è intervenuto sottolineando le violazioni del diritto ecclesiastico. Ma esse sono soprattutto violazioni di principi fondamentali di civiltà, di convivenza, di rispetto delle libertà individuali e religiose. La preghiera del singolo è ben lungi dal poter sostituire la liturgia domenicale e così è stato nei secoli, anche in quelli più bui di note epidemie.

Sarebbe bastato che il governo avesse annunciato misure allo studio per consentire le messe, adottando le adeguate misure prudenziali e con eventuale apertura il 18 maggio, ma ciò non è deliberatamente avvenuto, perché si è voluto battere il pugno nella consapevolezza di poter contare su quella parte della Chiesa alleata, che consente di mortificare arbitrariamente le manifestazioni di fede della comunità cristiana.

Tuttavia, l’alzata di scudi dei credenti ha fatto breccia e il 7 maggio è stato firmato il protocollo fra governo e CEI per la celebrazione della messa con il popolo a partire dal 18 maggio, proprio alla stregua della partecipazione ad una mostra, o ad un evento culturale!

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(*) “Il disaccordo dei Vescovi – DPCM, la posizione della CEI”. Roma, 26 aprile 2020.

Roberto Serrentino

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