Intervista a Mario Antonio Scino, Capo del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica
Avvocato Scino, lei è a capo del DIPE dal luglio 2018. Un’esperienza significativa che consente di fare il punto sulle attività e gli interventi di questa struttura.
Il DIPE è il Dipartimento economico di Palazzo Chigi e uno dei principali strumenti tecnici a disposizione del governo in materia di investimenti pubblici. La sua principale funzione è il supporto al Comitato interministeriale per la programmazione economica, meglio conosciuto come CIPE, organo collegiale del governo presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri e composto da 13 Ministri, quelli le cui competenze settoriali incidono maggiormente sull’economia del Paese. Il CIPE è organo di decisione politica in ambito economico e finanziario e svolge funzioni di coordinamento in materia di programmazione della politica economica. La centralità del suo ruolo si manifesta nelle decisioni di allocazione delle risorse finanziarie a programmi e progetti di sviluppo e nell’approvazione delle principali iniziative di investimento pubblico del Paese. Altri strumenti sono la Cabina di regia Strategia Italia nata nel 2018 e Investitalia una struttura che ha la mission degli investimenti. Ricordo anche la Centrale Unica di Progettazione, in corso di definizione, a supporto dell’amministrazione pubblica per dare il via a nuovi cantieri, ovvero per rivitalizzare quelli fermi e che segna un “cambio di passo” del nostro sistema pubblico, perché prevede l’innesto di professionalità tecniche nelle p.p.a.a., un patrimonio che l’amministrazione aveva ed ha perso col tempo.
L’obiettivo perseguito è nel suo complesso quello di rafforzare le politiche di investimento del governo, destinando maggiori risorse, realizzando le opere e provvedendo anche ad un attento monitoraggio.
Nell’ultimo decennio, a causa dell’elevato indebitamento e del crescente deficit del bilancio pubblico, si è registrato un continuo calo degli investimenti pubblici nel settore delle infrastrutture.
Gli investimenti pubblici nella loro globalità sono passati nel nostro Paese dai 54 miliardi di euro nel 2009 ai 37 miliardi di euro nel 2019. Di questi, 31 miliardi di euro nel 2009 sono stati dedicati alle opere pubbliche, per diminuire fino ai 19 miliardi di euro nel 2019. Tutto ciò a causa – ma non solo – dei noti problemi legati ai saldi di finanza pubblica e dell’andamento dei tassi di interesse con riferimento ai debiti sovrani. Tuttavia negli ultimi 3-4 anni si è assistito a un’inversione di tendenza. Infatti i principali documenti economico-finanziari del governo puntano sulla ripresa dell’economia italiana attraverso la promozione degli investimenti pubblici. In particolare mirano a mettere in campo azioni finalizzate ad incrementare, accelerare e rendere più efficiente ed efficace la spesa in conto capitale, migliorando la capacità delle amministrazioni di preparare, valutare e gestire piani, programmi, progetti e misure attuative, a partire dalle grandi opere sino a quelle di minore dimensione e di interesse locale, in modo da favorire occupazione e consumi. In questo quadro noi facciamo la nostra parte: è del 21 novembre 2019 il documento del DIPE, trasmesso al CIPE, quale “Prospettiva, analisi e possibili soluzioni per il miglioramento dell’efficienza degli investimenti pubblici”.
Negli anni sessanta i governi che si sono succeduti hanno puntato molto sugli investimenti in infrastrutture. Il nostro sistema di rete autostradale era all’avanguardia, quale modello di progettualità ed innovazione, invidiato dagli altri paesi. Qual’è lo stato attuale della dotazione infrastrutturale in Italia?
Le infrastrutture realizzate negli anni sessanta e settanta hanno oggi seri problemi di manutenzione, mentre quelle di più recente realizzazione scontano ritardi e inefficienze che penalizzano non poco il sistema infrastrutturale del Paese. In Italia i tempi medi di completamento delle opere pubbliche sono più alti rispetto alla media dell’UE. Il Rapporto 2018 dell’Agenzia per la Coesione Territoriale ha evidenziato che questi tempi sono di circa 15 anni e sette mesi per opere del valore maggiore di 100 milioni di euro, 12,2 anni per opere del valore compreso tra 50 e 100 milioni di euro e 7,9 anni per opere del valore tra i 5 e 10 milioni di euro. Le infrastrutture sono uno straordinario volano per l’economia e proprio per questa ragione la riduzione dei tempi di realizzazione delle opere è un elemento strategico se vogliamo che il loro effetto virtuoso sull’economia sia funzionale al rilancio della crescita e dell’occupazione. Aggiungo che la qualità del sistema infrastrutturale di un paese è anche uno degli asset strategici per attrarre investimenti dall’estero. L’attrazione di investimenti è condizionata da alcuni fattori di sistema come la qualità del sistema normativo e amministrativo, i tempi della giustizia, la sicurezza, la presenza di poli innovativi e di ricerca; orbene, uno di questi fattori condizionanti, forse il più rilevante, è il sistema infrastrutturale. Maggiore è la qualità del sistema infrastrutturale maggiore sarà l’attrazione di investitori.
Il governo sta intervenendo in maniera seria e fattiva per superare le criticità legate ai tempi procrastinati ed eccessivi nella realizzazione delle opere pubbliche?
Il governo agisce sostanzialmente su tre direttrici: sistema delle regole, capacità amministrativa e qualità degli strumenti di monitoraggio.
La prima è relativa al sistema regolatorio, soprattutto del settore infrastrutture: è determinante disporre di un quadro normativo certo e stabile nel tempo. Il nuovo Codice dei Contratti Pubblici dovrebbe andare in questa direzione, anche se sono già intervenute modifiche e se ne prevede una sostanziale riforma. In pratica è opportuno migliorare i processi decisionali e le procedure amministrative connesse alla realizzazione delle opere pubbliche, eliminando sovrapposizioni e/o duplicazioni istituzionali e rendendo più fluidi i procedimenti, disboscando la giungla di soggetti che intervengono nelle decisioni e nell’attuazione degli interventi. Il quadro istituzionale appare, infatti, caratterizzato da una molteplicità di soggetti istituzionali chiamati a partecipare al processo decisionale connesso alla realizzazione di opere pubbliche che spesso si mostrano ridondanti. Bisogna semplificare.
La seconda direttrice riguarda la capacità amministrativa. È necessario il recupero da parte dell’amministrazione pubblica di adeguate capacità decisionali, progettuali e gestionali. Gli investimenti pubblici camminano sulle gambe delle amministrazioni e la nostra è un’amministrazione invecchiata, poco innovativa, che non assume da tempo giovani, nuove professionalità e che, col tempo, ha perso competenze tecniche. Quindi la modifica del sistema regolatorio senza il recupero di adeguate capacità del sistema amministrativo è un’arma spuntata. Con la Centrale Unica di Progettazione avremo l’assunzione di numerosi tecnici: è la strada giusta, bisogna mantenere questa direzione e rinnovare le nostre p.p.a.a..
La terza riguarda, infine, la qualità del monitoraggio degli interventi e della spesa, che è un tema cruciale dell’intero sistema. Monitorare al meglio l’attuazione delle decisioni d’investimento consente di intervenire tempestivamente per rimuoverne eventuali ostacoli e criticità, per sbloccare e accelerare le opere ferme o in ritardo di realizzazione ed eventualmente per proporre riprogrammazioni delle risorse. Mi piace citare la Cabina di Regia Strategia Italia ove, ad esempio, nella riunione dell’11 luglio 2019 sono stati sbloccati 315 miliardi di euro in favore del Ministero dell’Ambiente per interventi in tema di assesto idrogeologico. Inoltre, il DIPE nel 2019 ha ricostituito il NUVV (Nucleo di Valutazione e Verifica degli Investimenti Pubblici) a supporto del CIPE, proprio per contribuire a monitorare al meglio tempistica ed efficienza della realizzazione fisica delle opere infrastrutturali. In questo quadro emerge, tuttavia, anche l’esigenza – imprescindibile – di “fare sistema”, perché al fine di raggiungere i migliori risultati è determinante la collaborazione istituzionale tra tutti i soggetti operanti nell’ambito della pubblica amministrazione che dispongono delle informazioni di base. I dati di monitoraggio attuativo non sono di questo o quel ministero, o delle stazioni appaltanti. Sono del Paese. Tenere i dati nel proprio cassetto è un esercizio non più compatibile con le esigenze comuni. Nella società dell’informazione, i dati pubblici hanno un valore determinante e sono un grande patrimonio collettivo che va valorizzato. Segnalo, in proposito, che dal mese di novembre del 2018 il DIPE ha avuto accesso alla Banca Dati dell’Amministrazione Pubblica (BDAP), che consente una più agevole conoscenza e lavorazione delle informazioni per l’esame e il controllo dello stato di avanzamento delle opere pubbliche e ciò grazie all’accordo con il MEF. Per comprendere la dimensione organizzativa basti dire che il sistema di monitoraggio della spesa per investimenti interessa circa 27.000 stazioni d’appalto.
A novembre del 2019 la Commissione Ambiente del Senato ha approvato l’emendamento al cosiddetto Decreto Clima, che prevede un aggiornamento della denominazione del CIPE in CIPESS (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile). Qual è la portata di questa innovazione?
In una battuta: sembra un mero cambio nominalistico ed è invece una riforma sostanziale. Essa implica che il coordinamento delle politiche economiche, dal 1 gennaio 2021, dovrà essere realizzato in vista del perseguimento degli obiettivi di sviluppo previsti dalla Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile che attua l’agenda ONU 2030. In pratica, viene formalizzata e istituzionalizzata una particolare attenzione del governo al tema della transizione all’economia green, un cambio di passo finalizzato a rendere compatibile la crescita economica con la sostenibilità sociale e ambientale. Noi siamo già al lavoro perché sarà il 2020 l’anno in cui si dovrà lavorare per riempire di contenuti questo enunciato di principio con proposte concrete per uno sviluppo sostenibile.
Considerata la sua esperienza, essendo tra i massimi conoscitori del funzionamento della macchina dell’amministrazione pubblica, quale consiglio vorrebbe dare a questo governo per migliorare il quadro di riferimento complessivo infrastrutturale del Paese?
In una sola parola direi occorre fare! Una volta identificato l’obiettivo, bisogna agire per realizzarlo. Ma occorre farlo tutti insieme: Stato, regioni, enti locali e infine stakeholders. C’è infatti molto da fare, in primis aumentare le risorse per gli investimenti pubblici con un importante piano di ammodernamenti e controlli, soprattutto nel Mezzogiorno. Allo stesso tempo è doveroso stabilizzare le norme di settore, in modo che siano chiare e certe. Bisogna anche semplificare le procedure, sbloccare gli investimenti fermi e mettere a punto la macchina amministrativa.
È un obiettivo sfidante, che va affrontato con rigore ma anche con entusiasmo, perché se si vince questa sfida la vittoria non sarà di questo o quel governo, ma del sistema- Paese, cioè di tutti noi.