Il Governo ha di recente approvato un disegno di legge delega che prevede l’emanazione di un decreto legislativo sulle cosiddette “semplificazioni”.
L’art. 20 di tale disegno di legge stabilisce che il Governo disciplini la facoltà di stipulare “tra i nubendi, tra i coniugi, tra le parti di una programmata o attuata unione civile, di accordi, in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, aventi efficacia obbligatoria, intesi a regolare tra loro, nel rispetto delle norme imperative, dei diritti fondamentali della persona umana, dell’ordine pubblico e del buon costume, i rapporti personali e quelli patrimoniali e i criteri per l’educazione dei figli”.
Questa previsione, alquanto generica, è stata considerata come un’apertura del nostro sistema all’effettuazione dei cosiddetti patti prematrimoniali, con cui, prima del verificarsi della crisi del rapporto, i coniugi avrebbero facoltà di stabilire le condizioni della loro separazione e/o divorzio.
In realtà, la facoltà di stipulare tali patti è espressamente prevista, nel citato disegno di legge, anche per le parti di “un’unione civile“, mentre non vengono affatto nominate le coppie di fatto, che pur hanno ottenuto, per la prima volta, una regolamentazione dei loro diritti e doveri – sebbene in ambiti piuttosto limitati – grazie alla recente legge 76/2016: non è dato sapere se l’omessa menzione dei conviventi more uxorio dipenda da una volontà di escludere tali categorie dalla facoltà di stipulare i patti, in vista della crisi del loro rapporto, o se sia semplicemente una dimenticanza.
In ogni caso, per le categorie di soggetti che saranno ammesse a concluderli, i patti potranno essere stipulati sia prima del matrimonio, o dell’attuazione dell’unione civile, sia in costanza di rapporto, purché, ovviamente, in via preventiva rispetto alla crisi.
Tale tipologia di patti – molto in voga in alcuni Paesi – a oggi, in Italia, in mancanza di una specifica previsione normativa, è ritenuta nulla dalla giurisprudenza, per illiceità della causa, in quanto verrebbe violato sia il principio fondamentale di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale, sancito dall’art. 160 c.c., sia il principio espresso dall’art. 24 della Costituzione, in quanto non sarebbe consentito disporre preventivamente di diritti che sorgono successivamente alla eventuale richiesta di separazione e/o divorzio.
Infatti, nel nostro ordinamento, diversamente da quanto avviene in altri sistemi giuridici, l’autonomia negoziale dei privati subisce non poche limitazioni, dettate dai principi, cosiddetti fondamentali, posti a tutela delle libertà individuali costituzionalmente garantite e delle “parti deboli” del rapporto contrattuale.
In sostanza, si ritiene che un soggetto, in condizioni d’inferiorità sotto il profilo economico-sociale (parte “debole”), in particolare, in situazioni delicate come quelle che riguardano i rapporti familiari, rispetto ad altro soggetto più “forte” e, dunque, in grado di imporsi, potrebbe giungere a rinunciare ai propri diritti fondamentali, in quanto incapace di farsi valere. In casi simili l’ordinamento giuridico potrebbe giungere a sancire la nullità di accordi che violino i diritti fondamentali della parte debole.
In effetti, però, in linea di principio, consentire alle parti la facoltà di autodeterminarsi anticipatamente in modo consensuale, in merito ai propri rapporti patrimoniali e personali, nel caso in cui si verifichi un’eventuale futura crisi del rapporto, può offrire molti vantaggi, in quanto l’accordo verrebbe raggiunto in una situazione di serenità e non nel momento di conflittualità conseguente al realizzarsi della crisi stessa.
Gli accordi di natura patrimoniale potrebbero avere ad oggetto la divisione dei beni, la quantificazione del contributo al mantenimento e/o l’attribuzione di somme di denaro periodiche o una tantum, l’attribuzione di diritti di proprietà o di altri diritti di godimento su uno o più immobili, con il vincolo di destinare i proventi al mantenimento dell’altro coniuge o al mantenimento dei figli fino al raggiungimento dell’autosufficienza economica, nonché la ripartizione del trattamento di fine rapporto lavorativo.
Paradossalmente, l’introduzione della possibilità di accordarsi anticipatamente rispetto alla crisi matrimoniale potrebbe indurre più soggetti a contrarre matrimonio, tanto più che lo stesso disegno di legge, sempre all’art. 20, prevede anche la possibilità di concludere “patti successori” attualmente vietati dall’ordinamento.
Pertanto i coniugi potrebbero accordarsi anche in merito alla successione di ciascuno, per esempio escludendosi reciprocamente l’uno dall’asse ereditario dell’altro per evitare così di pregiudicare i diritti dei figli nati da precedente unione, previsione che oggi sarebbe nulla per il divieto di patti successori e che induce molti soggetti a rimanere meri conviventi, onde evitare di avere, tra gli eredi necessari, il proprio coniuge.
Naturalmente gli accordi prematrimoniali non potrebbero intaccare i diritti e i doveri inderogabili scaturenti dal matrimonio e inoltre sarebbero nulli, per contrarietà all’ordine pubblico e a norme imperative di legge, gli accordi volti a condizionare la libertà di separarsi o di divorziare, o che pregiudicassero il diritto di difesa in giudizio.
Parimenti sarebbero nulli gli accordi volti a limitare la libertà personale del coniuge nelle manifestazioni di socialità e di affettività, non essendo tollerabile comprimere la libertà dell’individuo nelle manifestazioni relative ad affetti, amicizie, sessualità, condivisione di progetti di vita.
Non si potrebbe imporre, insomma, di non frequentare taluni soggetti, di non coltivare relazioni sentimentali o di non realizzare convivenze.
Sarebbero, per contro, in linea con il nostro ordinamento, accordi tendenti a far cessare l’erogazione dell’assegno divorzile, nel caso del realizzarsi di una convivenza more uxorio da parte del beneficiario, in quanto, secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, tale convivenza, “rescindendo ogni connessione con il tenore e il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile ed esclude ogni residua solidarietà post matrimoniale con l’altro coniuge, il quale non può che confidare nell’esonero definitivo da ogni obbligo” (Cass. n. 2466/16e nello stesso sensoanche Cass. n. 6855/15).
Per quanto riguarda gli accordi relativi ai figli, certamente un limite invalicabile è quello previsto per la tutela sostanziale dei diritti e delle aspettative degli stessi, con riferimento non solo ai minori, ma anche ai maggiorenni non economicamente autosufficienti. Al riguardo, dovrebbe essere previsto un controllo, come accade attualmente in materia di separazione e divorzio, da parte del procuratore della Repubblica, sulla conformità degli accordi all’interesse della prole.
Un altro aspetto degno di attenzione potrebbe essere quello legato alla non prevedibilità, al momento della stipulazione del patto prematrimoniale, dell’effettivo carico della prestazione, cui il coniuge obbligato sarà tenuto, al momento del verificarsi della condizione (ovverossia della crisi matrimoniale).
Al riguardo potrebbero essere previste clausole di adeguamento e d’indicizzazione o anche la cosiddetta regola, appartenente al diritto europeo, di “hardship”, che obbliga ad adeguare le condizioni contrattuali, se la prestazione è divenuta particolarmente onerosa per la parte obbligata, a seguito di eventi sopravvenuti, così da realizzare un riequilibrio del contenuto del contratto.
In conclusione, la materia, alquanto articolata, offre numerosi spunti di riflessione e l’ampiezza e genericità della delega che il disegno di legge prevede di attribuire al Governo, non consente una previsione puntuale degli aspetti e delle modalità con cui i patti prematrimoniali potrebbero essere normati.
Certamente, tuttavia, sembra ormai matura anche per il nostro ordinamento l’esigenza di giungere ad un ampliamento delle libertà negoziali, in cui si inseriscano i patti prematrimoniali e i patti successori, sempre naturalmente, nel rispetto dei princìpi fondamentali del nostro ordinamento.