Intervista a Benedetto Della Vedova

Più Europa, o meno Europa?
La risposta è nel nome stesso del nostro movimento: più Europa, senza alcun dubbio.

L’esito del referendum sulla Brexit, ed il conseguente caos che ha portato in Gran Bretagna e non solo, potrebbe essere un elemento per dire più Europa.
Lo è effettivamente. Ed è anche un’evidenza dell’inconsistenza delle promesse dei sovranisti, che sono tanto suggestive e accattivanti quanto false. L’Unione Europea ha portato al Regno Unito vantaggi ai quali dovrebbe necessariamente rinunciare uscendo. Uscire significa tornare indietro.

I vincoli, per lo più economici, imposti dall’Unione Europea, secondo alcuni aumentano l’austerity e non favoriscono la crescita. Di contro, altri sostengono che il loro rispetto garantisce all’Italia spread contenuto e stabilità economica.
Noi dobbiamo rispettare prima di tutto i nostri figli, ai quali non possiamo lasciare da pagare il costo del nostro benessere attuale. Ogni volta che facciamo più debito pubblico ipotechiamo un pezzo del loro futuro. Questo è un vincolo di natura morale che dovremmo sempre tenere a mente, a prescindere dai vincoli formali imposti dall’Unione Europea.

L’Europa dei burocrati, o l’Europa dei popoli? Comunque un’Europa diversa?
È una falsa contrapposizione. La vera contrapposizione è tra l’Europa del processo di integrazione incompleto, ma da far ripartire, o quella degli Stati nazionali che fanno i loro interessi impedendo all’Europa di essere veramente “compiuta”, anche in senso democratico. I burocrati sono un falso problema, ce ne sono di meno nel solo Comune di Roma, comprendendo anche le sue società partecipate.

Si può dire che i rapporti di forza all’interno dell’Unione Europea sono sbilanciati con una Germania egemone, una Francia alla quale tutto o quasi è concesso, mentre l’Italia resta l’osservata speciale.
Noi vorremmo un’Italia che riacquisti un ruolo di protagonista nel processo di integrazione che vorremmo accelerare. Ma l’Italia sarà protagonista nella misura in cui sarà credibile, in cui dimostrerà di recuperare produttività, di tornare a crescere, a investire nel futuro e nelle nuove generazioni. Invece stiamo facendo quello che si è sempre fatto: assistenzialismo a debito, solo che in modo molto più pericoloso per la tenuta dei conti pubblici di quanto non facessimo in passato.

Per l’Italia sono solo elezioni europee, o anche politiche, quale primo test del governo 5 stelle – Lega dopo un anno di vita?
Tutte le elezioni, da quelle locali a quelle europee, sono, in un modo o nell’altro, elezioni nazionali. Mi sembra che i primi a vederle come una conta e un banco di prova per la tenuta del governo nazionale siano Lega e Movimento 5 Stelle. A noi sta a cuore fare proposte per l’Europa e per un’Italia più Europea.

Con il sistema proporzionale di voto, si contano le forze in campo. Chi è in crescita nei sondaggi rischia e teme di non crescere abbastanza per concretizzare cambiamenti e nuove alleanze. Chi è in calo ha già fissato soglie di salvaguardia / successo del proprio movimento, per mantenere lo status quo delle alleanze. Gli altri partiti galleggiano. Il quadro politico nazionale rimarrà immutato nel post elezioni?
Il quadro politico potrà reggere l’urto del voto europeo, ma non reggerà quello della realtà. Il governo non ha ancora spiegato come disinnescherà le clausole di salvaguardia, evitando l’aumento dell’Iva: farà la famosa tassa patrimoniale? Oppure lascerà schizzare il rapporto deficit/pil oltre il 3% innescando una crisi dello spread che rischia di portare l’economia italiana al collasso?

Tre cose da cambiare e tre cose da difendere nell’attuale, complesso sistema di regole dell’Unione Europea.
Le tre cosa da cambiare subito sono senz’altro; l’abolizione del voto all’unanimità nel Consiglio UE e il passaggio, per tutte le politiche, al voto a maggioranza, l’attribuzione di un pieno potere di iniziativa legislativa al Parlamento europeo e il raddoppio del bilancio europeo per finanziare ricerca, innovazione e politiche comuni come quella sull’immigrazione e l’asilo.

Le tre cose più importanti da difendere sono l’embrione di modello federale comunque esistente, che i cosiddetti sovranisti vorrebbero buttare dalla finestra, il sistema di valori che l’Europa ha costruito in questi anni, anch’esso messo in discussione, ed il modello sociale europeo, unico al mondo, che rende l’Europa di gran lunga il continente con minori disparità e maggiori protezioni.  

Il rapporto deficit/PIL e il tetto del 3% è ancora attuale? Guy Abeille, funzionario francese generalmente riconosciuto come il padre del 3%, in una sua pubblicazione ha ammesso che la regola del 3% è nata senza alcuna riflessione teorica.
È un vecchio luogo comune. In realtà il tetto del 3% ha una logica, eccome, ma non è questo il punto: per ottenere denaro in prestito dai mercati dobbiamo dare sufficienti garanzie di poter restituire quel denaro. Se il debito è troppo alto, se il deficit crescerà troppo rispetto alle entrate, avremo difficoltà a trovare le risorse che ci servono a interessi sostenibili. Anche se il vincolo del 3% fosse una convenzione irragionevole, e non lo è, sarebbero comunque i mercati a porre dei limiti alla nostra spensieratezza fiscale. Ciò detto, ad esempio, noi proponiamo lo scorporo degli investimenti per stimolare la crescita.

Proposte in sede europea per aiutare il made in Italy?
Insistere con i grandi accordi commerciali come il CETA, che nel primo anno della sua applicazione provvisoria ha favorito l’export in Canada dei nostri prodotti, specie agroalimentari. Dobbiamo guardare ai mercati in espansione, a cominciare dall’Africa, che sta conoscendo ritmi di crescita simili a quelli asiatici. L’Unione Europea dovrebbe puntare a diventare il primo partner economico dell’Africa, superando la Cina, e a questo scopo accogliamo con favore l’idea di istituire una grande area di libero scambio tra Europa e Africa. Sarebbe un’opportunità straordinaria anche per il nostro Mezzogiorno, proprio per la sua posizione strategica nel Mediterraneo.

Roberto Serrentino

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