Comunicazione troppo spesso fake?

Nella nostra società, ormai sempre più interconnessa, la comunicazione rappresenta un’attività chiave di un qualsiasi soggetto istituzionale o privato, sia esso un’azienda, un’associazione o un partito politico. Negli ultimi anni, anche a seguito dell’avvento di internet e dei social media, la comunicazione ha subito un cambiamento profondo sotto un duplice aspetto: da un lato sono aumentate le fonti di informazione (pluralismo informativo), dall’altro è aumentata la loro accessibilità. Di conseguenza, si è registrata una crescita esponenziale della quantità di notizie che vengono quotidianamente “immesse” nell’arena pubblica. Questo fenomeno ha dato vita, fra le altre cose, a una “corsa ai social” con un impiego massivo di questi strumenti da parte di tutti gli attori, spesso senza criteri comunicativi, con l’unico obiettivo di rafforzare la propria immagine e ottenere consenso. L’estrema diffusione di questi nuovi strumenti ha reso ancora più urgente trovare una risposta a uno dei fenomeni più discussi del momento, quello delle “fake news”. Secondo la Treccani, il termine designa un’informazione in parte o del tutto non corrispondente al vero, divulgata intenzionalmente o non intenzionalmente attraverso il web, i media o le tecnologie digitali di comunicazione, e caratterizzata da un’apparente plausibilità, quest’ultima alimentata da un sistema distorto di aspettative dell’opinione pubblica e da un’amplificazione dei pregiudizi che ne sono alla base, ciò che ne agevola la condivisione e la diffusione pur in assenza di una verifica delle fonti. Tuttavia, alcuni studiosi hanno criticato l’impiego di tale vocabolo preferendo far rientrare la fattispecie nel concetto più ampio di postverità, intesa come “pseudo verità”, costruita attraverso scelte individuali e collettive che fanno perno sull’emotività e le convinzioni dell’opinione pubblica, prescindendo del tutto o in parte dalla conformità al reale.

Il proliferare delle informazioni è dunque di per sé una conseguenza della libertà informativa, ovvero della possibilità da parte di tutti di produrre e ricevere dati e notizie. Questo rappresenta senza dubbio, da un lato, una conquista importantissima per la nostra società, dall’altro rappresenta però una profonda criticità dei nostri tempi in cui permane il rischio continuo di strumentalizzazione e distorsione dell’informazione su qualsiasi tema, senza precedenti. Proprio al fine di garantire libertà di informazione e pluralità informativa, occorre, dunque, uno sforzo maggiore da parte degli Stati e delle Istituzioni per contenere il fenomeno delle fake news e della disinformazione, senza però minare questi capisaldi delle società democratiche di libertà d’espressione ed informazione.

In questo senso, in Italia, abbiamo solo a titolo di esempio l’AGCOM che svolge da anni un’intensa attività di vigilanza e monitoraggio del sistema dell’informazione. Parallelamente all’attività procedimentale l’Autorità si è dotata, a partire dal 2013, del Servizio economico-statistico e ha promosso osservatori, iniziative e l’istituzione di tavoli tecnici su molteplici aspetti del panorama informativo, utilizzando tecniche e strumenti di valutazione via via più sofisticati e avvalendosi della collaborazione del mondo accademico e scientifico, nazionale e internazionale. Allo stesso tempo, anche l’Unione europea, soprattutto in vista delle elezioni del Parlamento europeo del prossimo 26 maggio, ha intensificato i propri sforzi per far fronte al dilagare di questo fenomeno. In particolare, la Commissione – nell’ambito del piano d’azione contro la disinformazione, volto a sviluppare le capacità e rafforzare la cooperazione tra gli Stati membri e le istituzioni dell’UE, al fine di affrontare in modo proattivo le minacce che da essa derivano – ha promosso nel 2018 il Code of Practice on Disinformation che prevede l’adozione di misure specifiche da parte delle società attive nel web e nella pubblicità. Già lo scorso ottobre 2018, hanno aderito volontariamente all’iniziativa Google, Facebook, Twitter e Mozilla. La Commissione, che ha ricevuto a gennaio 2019 le prime relazioni di queste società sulle misure adottate per conformarsi al Codice, ha giudicato positivamente il lavoro svolto, riconoscendo l’impegno ad intervenire in modo più capillare e incisivo in alcuni ambiti, quali l’eliminazione dei profili falsi e la demonetizzazione dei vettori di disinformazione, rispetto ad altri. Tuttavia, l’Europa si aspetta che Google, Facebook, Twitter e Mozilla sviluppino un approccio più sistematico, che consenta un monitoraggio e una valutazione adeguati e regolari, sulla base di dati appropriati sulle prestazioni.

Sebbene tutti gli sforzi messi finora in campo per arginare il problema siano sicuramente validi e meritori, è indubbio che essi non consentono di giungere ad una sua soluzione definitiva. Infatti, tutti gli attori dell’informazione dovranno contribuire attivamente alla lotta contro le fake news. Ad oggi non è più possibile restare ai margini del confronto, delegando ogni responsabilità con un atteggiamento passivo o disinteressato. Da un lato, dunque, i giornalisti – e i comunicatori in genere – sono chiamati ad un rinnovato impegno nello svolgere quel lavoro di filtro proprio della professione, dedicando sempre maggiore attenzione alla selezione delle notizie e alla verifica della veridicità dei fatti riportati; dall’altro, gli utenti stessi dovranno rivestire un ruolo più dinamico e consapevole per vagliare le fonti e le singole informazioni sulle quali basare la formulazione del proprio pensiero e le proprie scelte.

Marco Forlani

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