Le consuete divergenze di opinione tra forze politiche, e non solo tra queste, possono avere determinato nei cittadini una giustificata confusione sul tema della prescrizione dei reati.
Come è ormai noto, la Legge 9.1.2019 n. 3, cd. “anticorruzione“, ha modificato il secondo comma dell’art. 159 del codice penale e ha disposto che il corso della prescrizione rimane sospeso dalla pronunzia della sentenza di merito di primo grado fino alla data di esecutorietà della sentenza che definisce il giudizio. In altri termini il decorso della prescrizione “si blocca” con la prima sentenza di merito pronunciata dal giudice e non va più avanti fino a che il processo non si conclude.
La questione – di tecnica giudiziaria, solo attinente alla efficacia dell’azione giudiziaria – non avrebbe dovuto lasciare margini a contese politiche. E tuttavia queste, come è pure noto, si sono puntualmente verificate; tanto, che un ultimo ripensamento ha determinato il prolungamento dell’entrata in vigore della norma al gennaio del 2020.
E ciò, nella prospettiva – o meglio in attesa – di illuminanti epocali innovazioni al codice di procedura penale.
Nella realtà gli argomenti sono due: uno, principale, quello della necessità di porre rimedio alla eccessiva durata dei processi riformando il codice di procedura; un altro, accessorio – o meglio limitato negli effetti – quello che è qui il tema di discussione: la sospensione della prescrizione; una sospensione diretta ad eliminare lo sconcio della estinzione dei reati senza alcuna decisione sul merito. Uno sconcio che si verifica almeno nel 35 o 40% dei processi.
Mi permetto di chiarire che la mia opinione è soltanto fondata sulle esperienze fatte in tanti anni nei nostri tribunali.
Dalla stampa, ho letto che anche alti magistrati, alcuni ai vertici degli Uffici giudiziari, hanno affermato che il problema della prescrizione si inserisce in una realtà più ampia riguardante la complessa struttura del sistema processuale.
Questa opinione è da condividere.
Se si scorrono le relazioni annuali dei procuratori generali e dei presidenti di corte degli anni passati si rileva che il centro di tutte le questioni è sempre lo stesso: il processo penale è lento, inefficiente, capace di disperdere inutilmente energie, nato male, soltanto rattoppato qua e là nel corso degli ultimi 20 anni.
Certo, non è questa la sede per enunciare i rimedi possibili, capaci di operare sulla struttura della normativa. Qualche cosa si è fatto con la L. 23.6.2017 n.103. Molto, anzi moltissimo, si può e si deve fare. E molto continua a dirsi in proposito: idee e proposte di modifica dei codici sono tutte responsabilmente proiettate ad incidere sulla efficacia del sistema (compresa, fra le altre, quella – in vero indispensabile – di informatizzazione del processo). Ma quando, tutto questo, sarà possibile realizzare? Detta in soldoni, quanto tempo ci vorrà? Quale legislatore avrà la forza e – mi sia consentito – la autorevolezza per questa pur necessaria riforma?
È vero che, da ultimo, gli attuali responsabili di governo, rinviando il problema concernente la sospensione della prescrizione all’anno 2020, hanno previsto che, entro lo spazio di una manciata di mesi, sarà addirittura riformato il processo. Non posso non dubitarne, o, con licenza di franchezza, non crederci.
Concordo, ripeto, sull’origine del problema, che è quello della negatività dei codici; tuttavia non concordo sulla opinione secondo cui sarebbe oggi inopportuno agire sulla prescrizione se non sarà anche affrontato il complessivo tema del processo.
Perché è inopportuno? Invece è urgente, eccome: non deve sfuggire che la prescrizione dei reati è istituto di diritto sostanziale. Esso, come tale, non può operare per il passato: opera per i reati futuri e per i processi futuri non per quelli che si stanno celebrando adesso, ma per quelli che inizieranno dopo il gennaio del 2020! Insomma noi stiamo parlando di cose che cominceranno a succedere dal 2020 in poi! È questa la realtà.
Esiste una esigenza di concretezza, decisamente attuale. Attuale, e tuttavia futura! Tale, che essa non avrebbe consentito l’opinione di dovere attendere che si ponga prima mano ai codici: una evenienza, questa, talmente di là da venire che sarebbe come rimandare il tutto indefinitamente, soprattutto perché la agognata riforma dei codici non potrebbe mai risolversi – come certo accadrebbe (o accadrà) – nei soliti rattoppi a cui si è abituati. E ciò, ad onta di quelli che sono gli ottimistici propositi avanzati dalle odierne forze politiche.
La convinzione è che, per raggiungere risultati concreti, occorre procedere per gradi e innovare per singoli istituti processuali, compreso questo della sospensione o del “blocco” della prescrizione dopo la prima sentenza di merito.
Una innovazione, questa, che “sono costretto” a condividere. Può anche non piacere, ma è questa la realtà delle cose.
Rilevanti e degne di attenzione sono – per altro verso, e sul piano dogmatico – le talune obiezioni che eminenti giuristi hanno ritenuto di opporre alla originaria proposta di modifica dell’art. 159 C.P., poi introdotta, come detto, dalla legge cd anticorruzione.
Tra l’altro, si è affermato: 1. che esiste un principio generale secondo cui il mancato esercizio di un diritto entro un tempo limitato ne determina l’estinzione. È questo il fondamento anche della prescrizione: se lo Stato non punisce entro il tempo stabilito dall’ordinamento, il suo diritto di punire si affievolisce, fino poi ad estinguersi; dunque, agire sulla prescrizione sospendendola, sarebbe contrario al principio generale secondo cui è la stessa pretesa punitiva dello Stato che finisce con l’estinguersi con il decorso degli anni; 2. Sospendere la prescrizione dopo il giudizio penale di primo grado si risolverà in una gravissima lesione al canone della presunzione di innocenza; una nozione, questa, solennemente sancita dalla nostra Costituzione.
Si tratta di serie obiezioni di principio che tuttavia non paiono adattarsi al caso che qui interessa. La prima è palesemente fondata su un pre-concetto o meglio su un pre-giudizio: che una volta che l’imputato sia stato condannato, il processo andrà ancor più per le lunghe. I tribunali se la prenderanno ancora più comoda e i processi resteranno in una sorta di limbo inerte. Ma occorre replicare: la sospensione della prescrizione, come ora prevista, verrà ad operare non solo nei casi di condanna dell’imputato ma anche in tutti i casi di assoluzione: il momento della sospensione sarà sempre quello della pronuncia di una sentenza di primo grado, quale che ne sia il contenuto, assolutorio o di condanna.
Ma ancora, e soprattutto: certo è che un sistema processuale che rinunci a perseguire i reati in una altissima percentuale di casi (non si è lontani dalla realtà – occorre ripeterlo – se si parla di circa il 40% dei processi prescritti) è un sistema che ha drammaticamente abdicato alla sua funzione! E questo è davvero intollerabile.
È principio generalissimo quello per cui tra due interessi contrapposti l’ordinamento dovrà tutelare quello che ha maggiore rilievo sociale: ebbene, non si vede come uno stato di diritto possa accettare che gravissimi reati quali, ad esempio, quelli contro la pubblica amministrazione, contro la incolumità delle persone, a volte contro intere comunità di persone, possano rimanere senza giudizio di merito. Non si vede come simile risultato possa essere vissuto dalle vittime se non come una crudele beffa legittimata da un sistema statuale inefficace, addirittura incapace di giudicare! In ogni processo ci sono due parti, un imputato e una persona offesa: il giusto processo deve contemperare le esigenze di entrambe queste parti secondo le regole dell’art. 111 della Costituzione. Ebbene, è interesse primario, anzi dovere di essenza dello Stato quello di perseguire i reati senza astenersene, essendo uno sproposito, una vera abnormità concettuale, decidere a volte sì e a volte no; punire o assolvere, solo se e quando si fa in tempo.
L’altra obiezione, relativa alla possibilità di lesione al principio di presunzione di innocenza, è serissima in punto di principio. Il nostro sistema non può che essere attentissimo al rispetto della regola dell’art. 27 della Costituzione secondo cui l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. E tuttavia non si vede come il tale principio sarebbe offeso nel caso in cui una prescrizione venga sospesa dopo la prima pronuncia di merito. Valgono gli argomenti sopra accennati. Ma vale aggiungere che il nostro codice prevede figure di reato, di elevato allarme sociale, per le quali la prescrizione non c’è, non è ammessa; questi reati, e sono tra i più gravi, non si estinguono mai per prescrizione: ebbene il principio di presunzione di innocenza è evidentemente tutelato, anche per simili reati! Nessuno mai potrà sostenere che il principio di presunzione di innocenza resti, per questi reati, sospeso per volontà del legislatore!
Il vero è che prescrizione e principio di innocenza sono istituti indipendenti l’uno dall’altro, l’uno è neutro rispetto all’altro, operano in ambiti diversi, come pure è stato detto in talune decisioni della Corte di Cassazione. L’avvicinarne le due nozioni fino al punto da ritenerle interdipendenti non è che il frutto dell’infondato pre-giudizio di cui prima si diceva: quello, cioè, che i tribunali ritarderebbero la definizione dei processi e finirebbero con il ledere anche l’altro principio costituzionale della ragionevole durata dei processi.
Anche quest’ ultima obiezione – quella della lesione al principio della ragionevole durata dei processi – non solo è indimostrata ma è addirittura contraddetta dalla logica comune: nessun condannato avrà interesse ad essere mantenuto in tale condizione e sarà attento, con i propri difensori, alla definizione della sua posizione. Del pari, nel caso di sentenza assolutoria, sarà la parte offesa, o anche la parte pubblica, a far valere le proprie contrapposte pretese.
Soprattutto è assai rilevante sottolineare come la sospensione della prescrizione eviterà lo sciagurato fenomeno – questo, sì, negativo per i tempi di definizione dei processi – di parti che, secondo l’interesse, corrono a ripieghi o a ritardi – per carità, o legittimi o dentro i limiti della legittimità formale – per raggiungere i tempi e la mèta della agognata prescrizione.
Ma altro è da aggiungere: la sospensione della prescrizione dopo la prima sentenza è certamente nella linea logica con la recente riforma della L. 23.6.2017 n. 103. Tra le cose sensate di questa legge, vi è la disposizione che prevede una sospensione della prescrizione di non oltre 18 mesi dopo la sentenza di condanna di primo grado e di altri 18 mesi al massimo dopo la sentenza di condanna in appello.
Ebbene, anche questa è una disposizione diretta a porre un limite al caso scandaloso di chi, condannato in primo o addirittura in secondo grado, si veda poi graziato da una assurda intollerabile prescrizione! E questo, anche per reati gravissimi quali corruzione, peculato, concussione, ecc., in danno della PA! È singolare che sono proprio questi reati i più vulnerabili, nella pratica giudiziaria, ad essere raggiunti dalla prescrizione: sono reati di difficile e di lungo accertamento: posto che la prescrizione inizia a decorrere dal giorno della commissione di un reato, e che i rapporti corruttivi o di concussione o i fatti di peculato costituiscono il frutto di pratiche criminose prolungate od occulte o di fatti di falsità, o di intese comuni tra soggetti portatori di interessi convergenti solo nel risultato illecito conclusivo, è evidente come le indagini per tali reati iniziano con ritardo e sono prolungate e impegnano i tempi e le energie, spesso assai notevoli, degli organi inquirenti e dell’Autorità Giudiziaria.
È ancora importante sottolineare che la riforma del 2017 – la cd. riforma Orlando – prende in considerazione i soli casi di sospensione della prescrizione delle sentenze di condanna. Assai opportunamente, invece, la disposizione di cui ora si parla, estende la sospensione anche alle sentenze di assoluzione, ben dovendosi tutelare nella stessa misura imputati e i soggetti danneggiati dai reati.
Vi è poi un principio di diritto da ribadire: come già detto, l’istituto della prescrizione è istituto di diritto penale sostanziale, non di diritto processuale; ne discende che le riforme sulla prescrizione non possono avere effetto retroattivo e riguarderanno soltanto i reati commessi successivamente all’entrata in vigore della legge di riforma (artt. 25 Cost., 11 delle preleggi, 2 c.p.); cosicché la stessa legge del 2017 cit. ha iniziato ad operare soltanto sui reati commessi dopo il 23 giugno 2017.
Ebbene, se è così, le ragioni di urgenza sono addirittura palesi: oggi si sta discutendo dei reati che saranno commessi dopo il 1.1.2020 e che saranno suscettibili di prescrizione taluni anni dopo! E allora, si possono ancora attendere le velleitarie innovazioni della complessa struttura del processo? Innovazioni da potersi compiere nello spazio addirittura di alcuni mesi? È lecito infine domandarsi: se simili riforme “epocali” del codice di procedura penale non ci saranno o se esse saranno solo di facciata, che cosa accadrà della sospensione della prescrizione dopo la prima sentenza?
Accenno, per concludere, a un’altra tesi (peraltro ormai superata dal nuovo disposto dell’art. 159 c.p .) che avevo ritenuto decisamente preferibile. La tesi proponeva che la prescrizione cominciasse a decorrere non dal giorno del commesso reato – com’è oggi (art. 158 c.p.) – ma dal momento in cui del reato venga investito il giudice. Come è noto, è proprio la fase dell’indagine preliminare quella che più si prolunga nel tempo, comprensiva di numerose attività, impegnative non solo per la polizia giudiziaria e per il p.m. ma altresì per il gip o per lo stesso Tribunale in sede di riesame. Ebbene, quando il p.m. avrà concluso l’indagine preliminare egli ne rimetterà il risultato al giudice: è questo il momento in cui il giudice sarà investito perché esprima il giudizio sui risultati dell’indagine; è, insomma, il momento in cui il processo raggiunge la fase della giurisdizionalizzazione. Il p.m., completata l’indagine preliminare nei tempi stabiliti dalla legge, dovrà, ai sensi dell’art. 50 c.p.p, richiedere il rinvio a giudizio dell’indagato ovvero l’archiviazione dell’indagine: il procedimento inizierà così la fase decisoria riservata al giudice.
Ebbene, l’attuale previsione di una prescrizione che comincia a decorrere dal momento della commissione del reato è altamente dannosa proprio per i reati più gravi: il riferimento, come si è detto, è ai reati di più difficile accertamento, quelli, cioè, che sono suscettibili di emergere e di essere accertati molto dopo che siano stati commessi: è il caso, oltremodo frequente, non solo dei reati contro la PA, ma anche di inquinamento, di adulterazione di sostanze alimentari, di edilizia, ecc. Per tal genere di reati, l’indagine del p.m. può cominciare (e assai spesso comincia) molto tempo dopo che i fatti sono stati commessi: eppure, la prescrizione avrà già iniziato inesorabilmente a decorrere dal giorno della commissione del reato; ma così si saranno ridotti i tempi a disposizione del p.m. per la definizione dell’indagine preliminare; una attività che invece il p.m. dovrà concludere nei tempi stabiliti dalla norma processuale. È proprio nella fase preliminare e nelle attività che la precedono che si consuma buona parte dei tempi di prescrizione.
A ben vedere, si sarebbe trattato di una scelta idonea non solo a superare le contese, anche dottrinali, sul “blocco” della prescrizione, ma anche sostanzialmente più in linea con le regole procedurali seguite negli altri paesi dell’U.E.
Sarebbe, in definitiva, stato sufficiente operare sul testo dell’art. 50 del cpp, il cui primo comma avrebbe potuto essere così formulato: “La prescrizione dei reati inizia a decorrere dal momento in cui il pubblico ministero ha esercitato l’azione penale o dal momento in cui ha richiesto l’archiviazione”.
La definitiva conclusione comunque da trarre è che non possono farsi sfuggire, quando si presentano, le occasioni di innovazioni fondate sulla concretezza delle cose, senza attendere riforme complesse, certamente necessarie, ma di là da venire, nonostante i buoni propositi di volenterose forze politiche.