Intervista a Giancarlo Abete

Il punto di vista su profitti, etica e valori umani

Dott. Abete, lei è stato Presidente dell’Unione Industriali di Roma dal 1994 all’aprile 2000, nonché Presidente Nazionale dell’UCID dal maggio 2011 al giugno 2017. Due cariche importanti come imprenditore impegnato nel sociale. Quali sono stati i principi ispiratori della sua presidenza UCID?
Le finalità dell’UCID consistono nel formare cristianamente gli iscritti all’Associazione, nello sviluppare fra gli stessi una alta moralità professionale, nel perseguire la conoscenza, l’attuazione e la diffusione della Dottrina Sociale della Chiesa, nella promozione di iniziative finalizzate ad assicurare una efficace ed equa collaborazione fra i soggetti d’impresa, ponendo la persona al centro dell’attività economica.

A queste finalità ho ispirato la mia azione quale Presidente dell’Associazione e desidero ricordare il più significativo momento di riconoscimento dell’attività dell’UCID allorché il Santo Padre il 31 ottobre 2015 ci ricevette in Sala Nervi.

Novemila imprenditori e dirigenti hanno confermato dinanzi al Pontefice la volontà di impegnarsi per i valori della Dottrina Sociale della Chiesa.

Come hanno reagito le aziende in termini organizzativi e produttivi di fronte a questi input?
In una società sempre più complessa ed in un momento di crisi profonda della nostra economia iniziata dal 2007 – e che ancora oggi produce effetti negativi – gli imprenditori e i dirigenti cristiani hanno confermato il loro impegno per una società che si sviluppi in modo equilibrato, solidale, nel rispetto della dignità della persona. Certamente sono stati anni difficili nei quali abbiamo registrato il raddoppio degli indici di povertà assoluta e relativa nel nostro paese, una finanziarizzazione dell’economia che ha fatto perdere di vista spesso l’economia reale, una crisi del Mezzogiorno che si è accentuata così come la difficoltà di generare lavoro soprattutto per i più giovani.

Si avverte comunque – proprio perché il modello di sviluppo che molti ritenevano essere foriero soltanto di positività ha manifestato tutti i suoi limiti – la necessità di fare riferimento ad un modello di sviluppo integrato che dia risposte alle crescenti difficoltà presenti nel mondo economico.

Il Santo Padre in un’intervista rilasciata al Sole 24 Ore lo scorso settembre ha parlato dell’“economia dello scarto”.
Il Santo Padre nell’intervista richiamata ha più volte fatto riferimento all’economia dello scarto.

Ha richiamato l’Evangelii Gaudium evidenziando che ci troviamo di fronte, quando parliamo di economia dello scarto, ad un fenomeno nuovo; con l’azione dell’esclusione vengono colpiti i legami di appartenenza alla società alla quale apparteniamo; in essa non si è semplicemente relegati negli scantinati dell’esistenza attraverso azioni di sfruttamento ed oppressione ma si viene sbattuti fuori; chi viene escluso non é sfruttato ma completamente rifiutato, considerato spazzatura, avanzo.

Nella stessa intervista il Santo Padre evidenzia la necessità di cambiare il modello di produzione.

Nell’Enciclica Laudato sì il Pontefice ricorda che c’è necessità di cambiare il nostro modello di produzione perché si corre il rischio di dare spazio alla cultura dello scarto che colpisce tanto gli esseri umani – come ho ricordato prima – quanto le cose che si trasformano velocemente in spazzatura.

Occorre limitare al massimo l’uso delle risorse non rinnovabili, rispettare l’ambiente, moderare il consumo, riutilizzare e riciclare.

Nel 1991 papa Giovanni Paolo II ha emanato l’enciclica Centesimus Annus sulla questione sociale. Il 17 maggio 2018 viene pubblicato, da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede e del Dicastero per il Servizio e lo Sviluppo Umano Integrale, il documento “Oeconomicae et pecuniae questiones – Considerazioni per un discernimento etico circa alcuni aspetti dell’attuale sistema economico-finanziario”. Secondo lei, a distanza di ventisette anni, come si è evoluto il pensiero della chiesa sulla questione economico-sociale?
L’Enciclica Centesimus Annus costituisce a cento anni della Rerum Novarum una pietra miliare per la Dottrina Sociale della Chiesa sulla questione sociale.

Da allora molti sono stati i documenti della Chiesa che hanno rappresentato il pensiero della stessa sulle problematiche economiche, sullo sviluppo della persona e della società nella quale viviamo, sulla necessità di avere valori etici profondi.

Per quanto riguarda in particolare il mondo dell’impresa desidero ricordare l’Enciclica di Benedetto XVI sulla Caritas in Veritate del 2009.

Il ruolo dell’impresa – e soprattutto dell’imprenditore che é alla guida dell’impresa che costituisce una comunità di lavoro – assume in questa Enciclica particolare valore se pensiamo che si parla, di impresa, imprenditore e imprenditorialità decine e decine di volte. Nella Caritas in Veritate capiamo quanto la Dottrina Sociale della Chiesa confidi nel ruolo sociale dell’imprenditore. Papa Francesco nell’Udienza del 31 ottobre 2015 si rivolgeva a tutti quanti noi parlando di una nobile vocazione imprenditoriale proiettata verso il bene comune.

Il documento del maggio 2018 “Oeconomicae et pecuniae questiones” è un documento di grande importanza e viene richiamato nell’intervista del Sole 24 Ore allorché si afferma che l’economia ha bisogno per il suo corretto funzionamento di un’etica amica della persona.

Tale documento pone una particolare attenzione al ruolo dell’attività finanziaria perché la stessa sia al servizio dell’economia reale e non viceversa e soprattutto evidenzia come i modelli economici debbano realizzare risultati qualitativi collegati alla dignità della persona, al contesto sociale nel quale si opera che vanno ben al di là del semplice risultato quantitativo.

Papa Francesco ricorda nella intervista Paolo VI che già nella Populorum Progressio del 1967 evidenziava che lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica.

Per essere autentico, lo sviluppo deve essere integrale, volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo.

Questo pensiero è fondamentale per comprendere l’obiettivo che si pone la Dottrina Sociale della Chiesa con i suoi insegnamenti e l’azione che come imprenditori cristiani dobbiamo svolgere nella nostra società.

La Dottrina Sociale della Chiesa può costituire per ciascuno di noi una bussola per operare in un sistema economico ricco di opportunità per la società nella quale operiamo ma fonte di diseguaglianze inaccettabili se non permeate dalla ricerca del bene comune. La ricerca del profitto è condivisibile se finalizzata non soltanto alla giusta remunerazione del capitale impiegato ma ad una crescita dell’intera comunità di lavoro all’interno delle aziende e nella società.

L’obiettivo è il bene comune, il rispetto della dignità della persona umana e la capacità per l’imprenditore e per l’impresa di generare lavoro perché chi non ha lavoro non solo non porta il pane a casa ma perde anche la sua dignità di persona, partecipe ad un progetto comune. Le parole del Santo Padre agli ucidini il 31 ottobre del 2015 in Sala Nervi costituiscano per tutti noi stimolo per dare contenuti alla nostra vocazione imprenditoriale.

Se volesse dare un consiglio, o fare una proposta all’attuale Governo sul tema dell’etica nelle scelte di politica economica, cosa direbbe?
Penso che l’attenzione ai problemi sociali – e alla centralità dei valori etici nel contesto della complessa situazione economica che sta attraversando il nostro Paese – debba essere e sia un valore trasversale a tutte le forze politiche presenti in Parlamento.

La capacità del Governo si manifesterà nel far sì che obiettivi condivisi di sviluppo, di crescita dell’occupazione, di lotta alla povertà e alle disuguaglianze si raggiungano con scelte di politica economica e strumenti legislativi idonei all’interno dei vincoli del quadro macroeconomico, condizione indispensabile per la nostra permanenza nell’Unione Europea.

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