Intervista a Gabriele Gravina, Presidente della FIGC
Il calcio che vorrei
Presidente Gravina, nel mondo del calcio lei ha maturato importanti esperienze come presidente di Lega Pro, di club, dirigente, capo delegazione Under 21 e consigliere federale. Da ottobre è Presidente della FIGC (Federazione Italiana Gioco Calcio). Come vede oggi il sistema calcio?
Il mondo del pallone deve tornare ad avere una dimensione sportiva, economica, etica e sociale che sia valorizzata in una strategia condivisa che abbia come obiettivo la sostenibilità finanziaria. Questo è raggiungibile attraverso strutture fondate su gestioni virtuose e puntando su asset strategici come i settori giovanili e le infrastrutture, elementi strettamente connessi. Germania, Francia e Spagna, in particolare, hanno dimostrato che si riparte da questi fattori chiave per tornare ad essere competitivi.
Progetti già presentati in tal senso?
Quasi due anni fa, il 13 febbraio 2017, presentammo il modello Rating, che prevede standard minimi e buone pratiche per attribuire un rating ai club, premiare le società più virtuose e portare le meno virtuose a cambiare, riformando il calcio professionistico. Questo l’obiettivo, che non è specifico per la Lega Pro, ma può coinvolgere leghe e federazioni. La riforma parte dalla consapevolezza delle difficoltà del sistema a livello organizzativo e finanziario. Le quattro aree per l’assegnazione dei crediti sono: il settore economico-finanziario, societario e di governance; il settore infrastrutturale; il settore giovanile; la relazione con il territorio e aspetti sociali.
Cosa pensa del semiprofessionismo nel calcio?
Altro passaggio fondamentale è l’inserimento del semiprofessionismo, determinante per stare al passo coi tempi, per non arretrare ulteriormente e per tornare a crescere ed essere un punto di riferimento nel calcio mondiale; così com’è necessario un credito d’imposta, che vada investito al 50% sui settori giovanili e al 50% in infrastrutture, entrambi fondamentali per lo sviluppo del calcio.
E il suo pensiero sulla Giustizia Sportiva, alla luce dei fatti recenti?
La riforma della Giustizia Sportiva rappresenta un’esigenza oggettiva. E’ necessario ripristinare la certezza della norma, sia in termini di applicazione che in fatto di tempistiche e riordinare il Codice della Giustizia, così come è necessario approntare procedure più rapide e di maggiore garanzia per tutti. L’estate appena trascorsa è uno degli esempi concreti e più eclatanti.
Come interpreta la dimensione sociale del calcio?
Il calcio è della gente, di chi scende in campo e di chi prende posto sugli spalti. Deve tornare ad essere patrimonio di una componente che troppo spesso non viene considerata secondo la propria grandezza, i tifosi. Il calcio va preservato, salvaguardandone i principi di correttezza. Ed è per questo che le attività si devono indirizzare alla lotta al match fixing e ad ogni fenomeno che ne mina le fondamenta. Deve seguire i binari di inclusione sociale con regole studiate ad hoc e declinato al sociale. Deve valorizzare i giovani non solo in campo, ma offrire occasioni di confronto tra i giovani anche attraverso le partnership con le scuole e le università. In modo da educare al calcio e al tifo.
Il calcio è pronto a ripartire?
Ho una certezza. Il nostro calcio può ripartire ed essere di nuovo un valore aggiunto e un’eccellenza, se giochiamo la partita del futuro, condividendone il percorso e le tappe che lo compongono. Il calcio, e lo vediamo sul rettangolo di gioco, ci insegna che per tagliare il traguardo serve il gioco di squadra, non basta il singolo. Solo con il confronto, il dialogo e la partecipazione di tutte le componenti si può arrivare al cambiamento positivo e di crescita. Il talento fa vincere le partite, ma l’intelligenza e il lavoro di squadra fanno vincere i campionati. Lo ha detto Michael Jordan. Aggiungo, vale in ogni campo.